giovedì 22 ottobre 2009

L' inglese

Spesso abbiamo la tendenza di credere che per venire a Chaaria l’Inglese non sia necessario, e che basti il linguaggio universale dell’amore.
Con il passare degli anni mi sono un po’ rivisto su questo punto, ed oggi ritengo di poter affermare che, se non e’ strettamente necessario, certo aiuta moltissimo l’esperienza.
Ricollegandomi al post di ieri per i biologi, vorrei dire che per loro e’ di importanza capitale, in quanto in laboratorio non ci sono persone che conoscano l’Italiano.
Inoltre ci sono degli studenti che sono qui per tirocinio, ed hanno tanto bisogno di imparare. Con un po’ di lingua il volontario puo’ essere utilissimo anche a loro, oltre che coordinare meglio il lavoro con gli altri elementi del nostro staff.
Anche per gli infermieri la conoscenza dell’Inglese e’ quasi una conditio sine qua non: infatti al momento sono l’unico italiano in ospedale e non riesco ad aiutare i volontari quando non capiscono i colleghi kenyani.
Un discorso piu’ o meno eguale si puo’ applicare per la manutenzione e per il centro degli handicappati mentali, dove anche i Fratelli in servizio capiscono molto poco l’Italiano.
Inoltre la lingua permettera’ pure la possibilita’ di intessere amicizie con i nostri dipendenti, che altrimenti rischiamo di vedere ogni giorno senza conoscere davvero.
Con l’Inglese certo si fa un’esperienza piu’ piena.


Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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