domenica 22 novembre 2009

Carissimi amici sardi

Forse non si vede, ma sono un grande timidone, e soprattutto mi sento molto in colpa quando lascio Chaaria per qualche giorno.
Il Congresso di Dermatologia in Etiopia e’ un grande dono, però mi crea anche disagio nel lasciarvi qui ancora per alcuni giorni e non trovarvi al mio rientro.
Per cui affido al blog il mio ringraziamento, quello che avrei voluto esprimervi stringendovi la mano, mentre salite in macchina alla volta di Nyeri, e poi Nairobi.
Vi ringrazio per la vostra disponibilita’ e per il grande lavoro che avete fatto per noi. Grazie anche per la vostra simpatia, e la vostra voglia di stare insieme a noi... e perche’ no? Grazie anche per l’ottimo vino bianco.
Grazie e tutti indistintamente:
A Nietta per il costante ed infaticabile lavoro con i pazienti ricoverati.
A Michele per la grande attivita’ da lui portata avanti nel gabinetto odontoiatrico, senza la nostra Mercy.
A Pino & Daniele (Pino-Daniele per noi), che sono stati una coppia molto efficiente nel risolvere molti piccoli e grandi problemi della nostra manutenzione.
Tutti indistintamente avete contribuito in modo personale ed unico al miglioramento di Chaaria.
E poi so che tornerete, e ci conto! L’esperienza fatta una tantum e’ senz’altro positiva, ma, se si riesce a ripeterla, diventa migliore, in quanto avete gia’ acquisito delle conoscenze sul nostro ambiente che vi permetteranno di lavorare piu’ efficacemente fin dal primo giorno. E poi, frequentandoci piu’ volte, anche la nostra amicizia crescera’.
Ciao. Naturalmente chiedero’ a Dio di darvi un onorario adeguato per quando avete fatto per lui e per i suoi poveri, oltre che per voi stessi... ed in Piemonte abbiamo un proverbio che dice: “Il Signore paga tardi, ma paga molto bene!”.



Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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