giovedì 19 novembre 2009

Una birra per Kimani e gli altri

“Volevamo solo dirti che abbiamo portato Kimani a Chaaria con noi e siamo andati al pub insieme con lui. Gli abbiamo offerto una birra”.
“Siete sicuri di aver fatto la cosa giusta?”
“Perche’, cosa c’e’ di male con una birra? Pensavamo anche di invitare altri quando andiamo a prendere qualcosa al bar... sono sempre chiusi qui dentro, poveretti.”
“Personalmente sono contrario a questa idea. E’ certo molto bello portare i nostri ricoverati a passeggio e farli uscire un po’; io comunque preferirei che andaste a fare una camminata, in qualche posto carino. Per esempio c’e’ un bel fiume oltre Chaaria. Se volete offrire loro qualcosa, potete pagare una bibita a qualunque dei chioschetti che trovate lungo il cammino. I bar di Chaaria sono normalmente frequentati da avvinazzati. Non credo che sia una buona cosa per Kimani imparare anche la strada verso il pub, visto che gia’ scappa tutte le domeniche, e regolarmente scambia una maglietta nuova o un paio di scarpe per un mazzetto di miraa. Non riusciamo assolutamente a farlo smettere. Se poi ora prende l’abitudine del bar, non mancheranno certo quelli che per un sorso di birra, lo faranno tornare a casa scalzo e a torso nudo. Joel poi si e’ rotto di nuovo una gamba una settimana fa, perche’ era ubriaco, ed e’ caduto, mentre dalla carrozzina tentava di tornare a letto.
Molti dei ragazzi sono epilettici, o assumono psicofarmaci: una birra per loro puo’ essere molto dannosa perche’ alcohol e medicine possono creare una miscela che causa aumento delle crisi.
Per cui, per favore: andate magari nel campo di calcio della scuola elementare vicino a noi, e fateli divertire. Ma non insegnate loro la strada del pub”.



Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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