martedì 1 dicembre 2009

Baciata dalla sfortuna - Kawira

Ve la ricordate Josphine Kawira e la sua storia incredibile di sopravvissuta dopo un terribile attacco con machete da parte di un folle che poi commise suicidio?
La sua vicenda e’ raccontata nel blog a fine dicembre 2007.
Kawira viveva con un padre poverissimo, che non era neanche riuscito a mandarla alla scuola elementare. Ecco perche’ si trovava a lavorare nella casa di quel malato di mente che poi tento’ di ucciderla. Ma Kawira amava il babbo teneramente, anche se con lui ormai ci stava solo durante le vacanze scolastiche (frequenta infatti la terza elementare, nonostante i suoi 13 anni). La mamma invece era scappata da casa con un altro uomo quando la bambina era ancora piccola.
La scuola qui e’ terminata la settimana scorsa, ma la nostra tenera Josphine e’ stata accolta da una notizia tremenda al suo arrivo nella povera capanna di Kathwene: ha infatti visto gli ultimi momenti del funerale di suo padre. Nessuno glielo aveva detto perche’ non hanno il telefono.
Kawira e’ fuggita da casa e si e’ rifugiata nella famiglia della sua unica sorella, sposata con un uomo dello stesso villaggio. Ha pianto tantissimo, ma ora sembra in fase di ripresa. Mi ha detto che vuole rimanere con la sorella fino all’ inizio dell’anno scolastico.
Mi fa tanta tenerezza, e non riesco davvero a darmi una ragione di tutto questo dolore che si accanisce contro una creatura cosi’ dolce e cosi’ indifesa.
Dite una preghiera per lei.


Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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