Ripenso ad un giorno di 4 anni fa. Non so perche’ mi sia venuto in mente proprio ora. Guardo nel buio della mia stanza ed in un attimo la straordinaria macchina del tempo che abbiamo nel cervello mi riporta al maggio 2006. I fotogrammi mi scorrono sulla retina ed il passato ritorna drammaticamente presente.
Vedo un’alba eccezionale. Una palla rossa enorme sta rapidamente salendo dall’orizzonte. Mi sono appena alzato e non riesco a staccare lo sguardo da un tale spettacolo mozzafiato che sempre mi fa pensare a Dio.
L’alba è d’una bellezza arcana a cui, fortunatamente, non riesco ad abituarmi. Mi avvio verso la cappella: almeno oggi non sono in ritardo!
Purtroppo però, subito dopo le lodi mattutine con i Fratelli vengo chiamato fuori di chiesa da Kathure che mi dice di correre subito in ospedale. Non ci penso due volte: in questo ho la certezza che il Cottolengo sarebbe contento di me, e mi sento nel cuore le sue parole: “Va’ e corri come sulle ali della carità, perché non è lasciare Dio, quando lo lasci per andare a servire lo stesso Iddio che soffre nel bisognoso!”
Quando arrivo all’ambulatorio mi trovo davanti una giovane donna tutta coperta di polvere. E’ in coma, ed ha un respiro molto affannoso. Sembra stia facendo gli ultimi tentativi di rimanere in vita. E’ tutta gonfia ed è spessissimo preda di violente convulsioni. Quasi senza pensarci le metto una mano sulla pancia e mi rendo conto che è gravida ed è a termine.
Mwendwa - questo il suo nome - proviene da Rikana, un villaggio poverissimo fatto di capanne di paglia, a non più di 14 Km da Chaaria. E’ stata trasportata su un carretto trainato da una mucca. Questo ha reso il tragitto molto lungo e difficoltoso: è arrivata a Chaaria stremata. Mi rendo subito conto che si tratta di una complicazione molto seria della gravidanza, chiamata eclampsia; ma nonostante i nostri tentativi di terapia, la giovane donna spira davanti a me, prima che la sala operatoria sia pronta per un cesareo d’urgenza. Io mi sento molto male, ma l’infermiera che è con me prende il fetoscopio e lo mette sulla pancia della mamma: poi mi urla che il battito del piccolino c’è ancora e che devo agire subito. Quasi come un automa, mi metto i guanti e velocemente apro l’addome della mamma che, ormai in paradiso, non ha bisogno ne’ di sala operatoria ne’ di anestesia, e tiriamo fuori un bambino in pessime condizioni. Lo rianimiamo a lungo massaggiandogli il piccolo torace e insufflando ossigeno “con l’ambu”, ma purtroppo il bambino ci lascia in meno di due ore.
Una doppia sconfitta di cui cerchiamo di darci una ragione: è arrivata troppo tardi!... qualche ora fa sarebbe stato tutto diverso!
Ma poi veniamo richiamati al senso della realtà: bisogna parlare con il marito che è seduto appena fuori dalla “room 17” dove tutto questo è avvenuto. Lui ha già intuito, perché i muri sono sottili, le finestre aperte, e lui ci ha sentito parlare mentre eravamo chiusi nella stanza.
A muso duro riceve la notizia, e la sua risposta è per me angosciante: “ Mwendwa e mio figlio sono morti a causa del malocchio” (maroghi come dicono qua).
A niente sono valse le mie spiegazioni sul tipo di complicazione verificatasi e sul ritardo nel venire in ospedale dovuto alla mancanza di mezzi di trasporto. Il marito resta convinto di quel che dice, e sa anche chi e’ la strega che ha operato il “witchcraft”.
Nella sua mente ora c’e’ solo il desiderio di vendicarsi. Gli dico di non aggiungere dolore alla situazione già triste, ma ormai lui non mi ascolta più. Lo prego di venire a vedere i corpi della moglie e del suo neonato, ma lui rifiuta dicendomi che non e’ secondo la sua cultura guardare i corpi dopo la morte.
Per cui se ne vanno tutti: lui ed il seguito di donne che aveva accompagnato la paziente. Li rivedo dopo 5 giorni, quando sono venuti a prendere il corpo per il funerale, ed è allora che vengo a conoscere altri risvolti inquietanti della vicenda.
Il marito, insieme ad altri del suo clan, era andato a casa di una vecchietta che loro consideravano una strega e l’avevano bruciata viva. L’avevano legata con mani e piedi dietro la schiena, l’avevano cosparsa di cherosene e le avevano dato fuoco.
Alla mia espressione inorridita, molti membri dello staff sostengono che si tratta di una legittima forma di giustizia popolare che impedira’ a questa strega di creare altri problemi e di danneggiare altre famiglie.
La superstizione, e soprattutto la certezza che il malocchio e la magia esistano, sono profondamente radicati nella nostra gente. Nessuno li può convincere del contrario. Spesso hanno la tendenza a cercare un responsabile quando qualcosa va male: se una persona giovane muore, se gli affari vanno male, se il matrimonio si sfascia deve essere un caso di “witchcraft”, e l’unico modo di liberarsene è uccidere la strega cattiva e poi andare da un mago buono a farsi fare il contro-malocchio. Queste credenze convivono tranquillamente con una vita cristiana anche impegnata: è come se il Cristianesimo non sia andato molto più in là dell’epidermide, mentre in profondità sopravvivono credenze ataviche spesso attratte da una visione paurosa delle forze arcane. In questo mondo di superstizioni e paure ci sono spiriti spesso malvagi capaci di fare del male agli uomini, quando chiamati a questo da uno stregone cattivo.
Ormai non c’è più nulla da fare. Quella povera vecchia è stata bruciata tra la soddisfazione vendicativa di coloro che hanno assistito al rito. Non mi resta che consegnare il corpo di Mwendwa che sarà sepolta vicino a casa, ed avrà un funerale religioso (non ho la forza di chiedere a quel marito a quale denominazione cristiana appartengano). La vecchia strega invece è stata ridotta in cenere e nessuno ha detto una preghiera per lei. Chissà se poi qualcuno ha seppellito i resti!
... Mia sorella ora mi chiama e mi dice che qualcuno mi vuole al telefono.
Di colpo ritorno al 2010.
Non sono a Chaaria. Sono a casa mia, e la storia di Mwendwa, pur cosi’ vivida, e’ soltanto un drammatico flash back dal passato, una delle tante sconfitte che hanno lastricato il nostro cammino nei duri anni d’Africa.
Fr Beppe Gaido
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