Ciò che a volte scompensa l’andamento economico del nostro ospedale e lo rende deficitario è senza dubbio l’alto numero di pazienti cronici o terminali che spesso vengono abbandonati in ospedale per mesi e magari devono anche essere sepolti qui perché nessuno viene più a vederli.
Questi pazienti terminali o comunque non autosufficienti sono per lo più casi di AIDS in stadio terminale, o esiti di ictus con paraplegia o emiplegia. Qui il problema psicologico per noi è enorme: non possiamo dimetterli perché sono veramente molto malati, e non riusciamo a far pressioni di pagamento perché i parenti si danno alla macchia.
Indubbiamente il problema è aggravato dalla tendenza di alcuni a non dire la verità, per cui spesso non si ha l’impressione di aiutare i più poveri, ma piuttosto i più scaltri che sanno mentire meglio. Quante volte capita che qualcuno viene dimesso senza pagare uno scellino e poi si viene a sapere più tardi che ha una casa in muratura e magari una mandria di mucche.
Però non abbiamo il personale sufficiente per verificare queste cose, per cui preferiamo abbondare e lasciare che qualcuno ci freghi piuttosto che rischiare di mandare via qualcuno che era veramente bisognoso.
Il problema diventa ancora più grave quando si tratta di terapie più impegnative che necessitano il trasferimento a Nairobi: il caso più emblematico è quello dei tumori maligni che richiedono interventi complessi, chemioterapia o radioterapia. Altri problemi più o meno insolubili sono quelli dei pazienti con insufficieza renale che richiedono la dialisi.
All’inizio io cercavo di convincere i familiari ad andare a Nairobi e a tentare il viaggio della speranza, ma ora spesso taccio e non dico più nulla: infatti si creavano spesso situazioni surreali, in cui io spiegavo con dovizia di particolari la sierietà della condiziione e la necessità di una terapia complessa. Poi veniva il momento critico, quando loro mi dicevano: “Non abbiamo soldi… Per favore aiutaci e poi ti restituiamo tutto poco per volta”.
L’abbiamo fatto una volta per un bimbo affetto da linfoma di Burkitt: abbiamo speso per lui una cifra che ci sarebbe bastata per curare almeno 1000 pazienti con malaria complicata. Il bambino ora sta bene, anche se purtroppo è diventato un ladruncolo che non va a scuola a causa della cattiva situazione familiare. In realtà però non ci è stata restituita alcuna somma di denaro e noi ci siamo trovati nella necessità di dire di no a tantissime altre richieste, perché non avevamo più fondi.
Quell’unico bimbo è guarito... e questo è sicuramente una cosa buona davanti a Dio; penso spesso alla poesia della “stella marina” che il bimbo getta in mare dopo averla trovata sulla spiaggia… Però quanti altri sono morti senza che noi potessimo far nulla!
E’ triste ma si tratta di considerare quanto è grande la torta che possiamo offrire ai nostri pazienti e poi di decidere quanto grande deve essere la fetta che possiamo dare ad ognuno. Può sembrare cinico ed anche sbagliato, ma la decisione che ho preso e’ di stabilire un limite, un tetto massimo alle prestazioni che possiamo offrire: tutto ciò che eccede il tetto massimo, non lo nomino neanche al paziente.
Per esempio raramente dico ad un paziente con insufficienza renale che c’è la dialisi, perché so che lui non se la potrà permettere; io poi so di non farcela a sponsorizzarlo, per cui preferisco evitare di creare in lui false speranze; e faccio le terapie che la nostra struttura può offrire, o al massimo gli dico di provare a rivolgersi ad un altro medico per vedere se per caso a lui vengono altre idee.
Dire al paziente che la cura ci sarebbe e poi non dargli i soldi per la medesima, normalmente porta a situazioni di grave tensione interiore: personalmente ci si sente dei vermi, ed in più si viene a volte accusati dai congiunti che non comprendono i nostri problemi economici e pensano che uno “MZUNGU” abbia soldi all’infinito
Queste considerazioni portano alla logica conseguenza che alcuni strumenti diagnostici sono a volte quasi un’arma a doppio taglio: pensate alle biopsie. Si fanno con la speranza che l’esito sia negativo, o che si tratti magari di una forma infettiva di cui si conosce la terapia (per esempio TBC dei linfonodi)… ma se poi la biopsia diventa positiva per tumore maligno complesso come per esempio quello dell’esofago, il problema economico con tutti i suoi risvolti psicologici, riappare immediatamente.
Non so se ho in qualche modo espresso il nostro dramma quotidiano: è una situazione che per un Italiano ha dell’assurdo, perché da noi gli ospedali pubblici sono totalmete gratuiti, o comunque c’è un rimborso quasi totale delle spese anticipate dal paziente.
Qui è diverso.
Per fortuna ora, almeno per i bambini ed i giovani con cardiopatie operabili, la situazione e’ cambiata grazie alla possibilita’ di operarli a Kharthoum. La nostra collaborazione con “Emergency” e’ senz’altro uno spiraglio di luce per i poveri, che altrimenti morirebbero giovanissimi per complicazioni cardiache.
Fr Beppe Gaido
Nella foto il nostro laboratorio dove offriamo tutti i test che ci e’ possibile, considerate le limitate risorse.
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