E’ fuori dubbio
che io non sia imparziale.
Pur servendo ed
accettando tutti in ospedale, i miei malati preferiti sono comunque quelli del
Tharaka.
E’ vero che sono
schierato! Lo ammetto senza problemi.
Emotivamente
schierato con chi e’ povero e svantaggiato.
Il Tharaka e’
molto esteso, arido e povero.
La maggior parte
delle abitazioni e’ ancora di fango e paglia. Non c’e’ asfalto e le strade
fanno a dir poco spavento. Gran parte del Tharaka non ha elettricita’.
Non parliamo poi di
acqua potabile: quasi tutti vanno al fiume ad attingere acqua e fanno
chilometri per raggiungere il torrente.
In alcune aree,
come per esempio Mukothima, una ONG ha costruito dei pozzi a cui ha collegato
delle pompe di cui la gente si serve per raccogliere l’acqua di uso domestico.
Grandi
missionari, come per esempio Padre Felice Garau della Consolata, hanno
costruito acquedotti, ma l’acqua rimane un miraggio per la maggior parte della
popolazione.
Per non parlare
della sanita’.
Pochi dispensari
ed “health centres”, tutti sprovvisti di sala operatoria; un ospedale
distrettuale in cui non si fanno operazioni perche’ la sala operatoria non e’
finita.
In Tharaka il
Cottolengo ha due “health centres”, rispettivamente a Gatunga e Mukothima, e
con essi collaboriamo molto intensamente. Le suore che vi operano ci
riferiscono tutte le maternita’ complicate che necessitano di taglio cesareo o
di altre procedure chirurgiche.
Ma le strutture
cottolenghine non sono le sole che ci hanno scelti come ospedale di riferimento!
Riceviamo donne
gravide con problemi da tantissime altre strutture, sia governative che
missionarie.
E’ normale per
noi avere pazienti da villaggi sperdutissimi e lontani, villagi dai nomi
esotici come Kathangacini, Thangatha, Kauthene, Kibonga, Turima Tweru, Nkondi,
Marimanti, Karimbani, Kiamuri, Risana, Tunyai, ecc.
Le distanze e le
strade impossibili fanno si’ che il Tharaka abbia purtroppo anche il primato
dei nostri casi complicati e difficili: stanotte per esempio siamo stati
chiamati alle 3 per una donna che aveva una rottura d’utero. Siamo comunque riusciti
fortunatamente a salvare bimbo e madre. Dopo la grande sudata in sala, ho
semplicemente chiesto alla donna: “avevi tre pregressi tagli cesarei; perche’
hai deciso di travagliare a casa fino a incappare in una complicazione che poteva
essere mortale per te e per tuo figlio?”
La sua risposta
e’ stata candida e disarmante: “sapevo che avevo bisogno del cesareo, ma al
dispensario del villaggio hanno fatto i calcoli senza fare un’eco, e mi hanno
detto che avrei dovuto andare in ospedale per l’operazione dopo il 27 aprile.
Purtroppo ieri sera sono iniziate le doglie. Non siamo riusciti a trovare un “matatu”
che ci portasse a Chaaria prima di quest’ora”.
La donna veniva
da Kathangachini, a 70 chilometri di sterrato da Chaaria, e sarebbe arrivata
anche piu’ tardi se non fosse che stanotte non ha piovuto.
Anche oggi ho
gia’ fatto un altro cesareo per una donna riferitaci dal dispensario di
Thangatha (80 chilometri di sterrato da Chaaria), e, mentre scrivo, Makena sta
preparando la sala per una gravidanza ectopica che viene da Marimanti.
Le pazienti che
ci preferiscono sono le partorienti del Tharaka: credo che costituiscano il 50%
delle nostre ricoverate nel reparto maternita’. Molti sono pero’ anche i
pazient medici e chirurgici.
Vi voglio ora
raccontare un episodio che mi e’ successo poco tempo fa. Tornavo in pulman da
Marimanti verso Chaaria. Una corriera stipatissima e polverosa in cui regnava
un indefinito tanfo di sudore ed umanita’: un centinaio tra passeggeri e
galline, oltre ad una infinita’ di scatoloni sulla bagagliera. C’erano pure
uomini che viaggiavano in piedi sul parafango posteriore, mentre alcuni erano
seduti sul tettuccio del veicolo. Io ero naturalmente l’unico “bianco” ad aver
scelto quel mezzo pubblico.
Ci e’ voluta una
vita prima che fosse pieno e che si avviasse boffonchiando per quelle strade
polverose.
Quando finalmente
abbiamo iniziato il viaggio, non abbiamo fatto piu’ di tre o quattro chilometri
prima di essere fermati da un drappello di donne.
Ho sentito il
conducente che arguiva con loro e non voleva farle salire.
Le donne accompagnavano
infatti una giovane in travaglio, ed evidentemente l’autista aveva paura che
partorisse sul pulman;diceva loro con forza di andare a Marimanti che era molto
vicino, ma le donne insistevano: “il nostro ospedale e’ Chaaria”.
Alla fine il
conducente si e’ arreso, ed in qualche modo abbiamo fatto spazio per le nuove
passeggere: infine, tutti siamo arrivati a Chaaria, stipati come sardine in
scatola... e per fortuna la giovane mamma non ha partorito sul mezzo pubblico.
Era riuscita ad
arrivare “al suo ospedale”, e noi ora avevamo il compito di trattarla con
grande rispetto e devozione, sapendo quali sacrifici ha dovuto fare per
raggiungerci.
Fr Beppe
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