giovedì 4 aprile 2013

Riflessioni di Anna

Credo che per tutti il dopo Chaaria sia speciale, o almeno per me lo è stato e continua ad esserlo.

Non è possibile dimenticare nulla dei momenti vissuti laggiù ma, al ritorno, non ci si può sottrarre agli impegni di ogni giorno che la vita familiare e lavorativa ti "impongono" secondo canoni che sono totalmente diversi dalla realtà africana.
Il ricordo è soggettivo ed ognuno di noi lo vive secondo un modello individuale diverso che dipende dall'età, dalle abitudini, dallo stato d'animo con il quale si è partiti per affrontare l'esperienza del volontariato.
Ogni giorno vissuto a Chaaria è impresso nella mia mente con chiarezza e nostalgia ed il desiderio di tornare è grande. Vivere un po' del mio tempo lontano dagli standard abituali ha giovato alla mente, al corpo allo spirito.





Ha permesso di rivalutare molto del mio vivere e di riformulare in modo totalmente diverso la scala dei valori significativi. Purtroppo non ho imparato abbastanza in alcune situazioni difficili ho reagito alla vecchia maniera senza pensare troppo e ho sbagliato. Chaaria mi ha aiutato a capire che il tempo è sacro e che la fretta è una brutta consigliera. Il nostro vivere forsennato è un boomerang letale.
Il desiderio di tornare è molto grande ma , ahimè, spesso viviamo come possiamo e non come vogliamo , i nostri desideri passano in secondo piano e non possiamo invertire il corso degli eventi…
I colori, gli odori, i rumori e soprattutto le persone di Chaaria rimangono nel cuore per sempre , per molti sarà difficile ammetterlo ma è così. 

Anna Sampò


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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