Ad un occhio superficiale
puo’ sembrare che la concezione del tempo sia universale: e’ infatti composto
di secondi, minuti, ore, giorni, ecc, ecc.
Stando in Afrca da un
certo numero di anni, inizio pero’ a rendermi conto che il concetto di tempo e’
fortemente influenzato da fattori culturali che e’ opportuno conoscere per
evitare interpretazioni poco benevole e forse anche razziste del comportamento
altrui.
Gia’ in Europa ci
rendiamo conto che la visione del tempo e’ molto diversa da Paese a Paese.
Mi e’ capitato spesso che
un volontario polacco mi dica: “l’appuntamento e’ alle 8 della Polonia o alle 8
italiane?” ... con questo non parlava certo di fuso orario, ma della nostra
interpretazione della puntualita’, che ha certamente una accezione diversa
rispetto a quella dell’Europa Settentrionale (pensiamo al quarto d’ora
accademico che spesso diventa di 25 minuti, e ad altri ritardi considerati
normali).
L’interpretazione del
tempo ed il giudizio sul comportamento altrui e’ spesso legato anche a sottili
forme di razzismo, come gia’ accennato piu’ sopra. Ho sentito Italiani del Nord
parlare della “sindrome del parallelo” che inizierebbe a manifestarsi da Napoli
verso Sud e che sarebbe quindi molto prominente in africa a motivo della
Latitudine: tale sindrome sarebbe caratterizzata da lentezza, pigrizia e
cattivo uso del tempo.
Un modo piu’ sottile di
esprimere lo stesso concetto l’ho sentito alla radio pochi mesi fa, quando un
operaio olandese, intervistato sull’Unione Europea, ha detto candidamente che
lui non ha problemi ad una unione con Germania, Belgio o Francia, dove la gente
lavora tutto il giorno e non perde tempo, ma ha grosse difficolta’ a pagare
tasse per salvare l’economia di Grecia, Italia o Spagna, dove la gente perde
ore produttive in lunghe sieste pomeridiane invece di lavorare.
Per quanto riguarda la
mia esperienza a Chaaria devo ammettere che e’ frequente sentire Italiani che
parlano del “pole pole” (piano piano) africano con una vena di disapprovazione;
lo stesso va detto circa l’altro importante concetto africano espresso nel
detto: “no hurry in Africa”, che a me sembra assolutamente saggio, ma che molti
disprezzano ed assimilano ad una forma di pigrizia.
Certamente il tempo nella
cultura bantu ha una accezione diversa dalla nostra. Per esempio qui si da’
molta importanza al presente che si vive ed al passato che ti ha costruito, ma
non si da’ la stessa importanza al futuro.
Nella grammatica Kimeru
per esempio ci sono almeno tre tempi per il passato: quello di stamattina,
quello di ieri, e quello del passato remoto. Ci sono almeno due tempi per il
presente, mentre per il futuro c’e’ un tempo solo che equivale al nostro futuro
prossimo.
Questo implica anche che
sovente la gente non fa grossi piani per il futuro: vive il presente con
semplicita’ senza preoccuparsi troppo di pianificazioni a lungo termine.
E’ esperienza comune per
l’amministratore del nostro ospedale dover dare anticipi sullo stipendio
perche’ le persone non hanno previsto un fondo per le emergenze che nella vita
possono sempre capitare.
Ma non possiamo e non
dobbiamo giudicarli. Siamo semplicemente diversi.
Si dice che un Masai, se
messo in prigione con una pena di pochi mesi, rischia di morire di crepacuore,
perche’ per lui non e’ molto chiaro che cosa sia un futuro lontano. Lui sa solo
che la sua liberta’ e’ persa.
Il termine “pole pole”
nasce poi da un proverbio kiswahili che suona: “haraka haraka haina baraka.
Pole pole, ndiyo mwendo”; la traduzione di questo adagio dice sommariamente: la
fretta non porta benedizioni; il far le cose pian piano porta a miglioramento e
sviluppo. E non e’ questo un concetto presente anche nella nostra cultura,
quando diciamo che la fretta e’ una cattiva consigliera? Pure in Italia, almeno
quando ero piccolo io, si raccontavano fiabe in cui la tartaruga competeva
nella corsa con la lepre... e guarda caso vinceva la tartaruga.
Parliamo adesso della
puntualita’.
E’ vero che i popoli
africani sono poco puntuali.
Se si dice che la Messa
inizia alle 10 in parrocchia, magari in pratica incomincera’ verso le 11.30. Lo
stesso dicasi per riunioni, eventi, od orario di partenza di un autobus.
Se una persona ti dice
che l’appuntamento e’ alle due del pomeriggio, potrebbe anche succedere che si
presentera’ alle quattro.
Pensate che in Kimeru “tainyanya”
significa le due del pomeriggio,
ma puo’ anche significare pomeriggio in genere. Quindi, se uno ti dice che
verra’ “tainyanya” il piu’ delle volte vorra’ dirti “nel pomeriggio”, e quindi
sara’ sorpreso se gli dirai che e’ in ritardo, perche’ lui non intendeva
esattamente le due.
La cosa e’ molto ben
comprensibile pensando al fatto che fino a pochi anni fa non c’erano orologi e
la gente si regolava per l’orario semplicemente sulla luce solare. I vecchi
missionari mi dicevano per esempio che quando il cielo e’ molto cupo, la gente
arriva sempre in ritardo perche’ non sa stimare l’ora.
Il “pole pole” africano,
che molti Europei disprezzano, ha pero’ secondo me molti aspetti positivi.
Quando penso alla mia gente qui in Africa mi viene sempre da paragonarli a dei
potenti motori a diesel: girano pian piano, hanno poca ripresa; ma sono resistenti
e potenti, e non si fermano mai. Pensate a quei pazienti che camminano otto ore
per venire in ospedale; oppure considerate che il nostro orario di lavoro al Cottolengo
Mission Hospital e’ di nove ore al giorno, e molti dei nostri dipendenti
camminano un’ora per venire a lavorare ed un’altra ora per tornare a casa.
Eppure vanno sempre avanti, lentamente se vogliamo, ma in modo costante.
A volte, dopo molti anni
d’Africa, io faccio molta fatica a capire la frenesia dell’Europa. Tutti mi
dicono che i ritmi la’ sono molto diversi dai nostri a Chaaria; che quando
torni in Italia i ritmi della societa’ moderna ti mangiano e non c’e’ piu’
tempo neppure per scrivere una mail. Poi pero’ faccio domande piu’ specifiche,
e mi rendo conto che molti dei volontari lavorano sei ore al giorno e magari a
lavorare ci vanno con la macchina.
Non lo so e non voglio
giudicare cio’ che non conosco a fondo, ma l’impressione e’ che la fretta europea
non sia affatto piu’ produttiva della lentezza costante della nostra gente.
Altre cose che comunque
un volontario dovrebbe conoscere e’ la difficolta’ della nostra gente ad essere
fedele agli appuntamenti: magari dai un appuntamento per un’operazione, ed il
cliente non viene nel giorno in cui lo attendevi. Si presenta poi due o tre
settimane piu’ tardi, quando magari il chirurgo italiano gia’ se n’e’ andato.
Se chiedi la ragione del
ritardo, qualcuno non te la sa spiegare; altri dicono che aspettavano di avere
abbastanza soldi per l’intervento, ed altri ancora accusano le condizioni
atmosferiche (per esempio strade impraticabili per le piogge).
La cosa piu’ importante
secondo me e’ arrivare ad un reciproco rispetto. Siamo diversi. La nostra
concezione del tempo e’ differente. L’importante e’ comprendersi
vicendevolmente, senza giudicarci e seza assumeme a priori il nostro modello
culturale come il migliore.
Fr Beppe Gaido
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