Se i malati sono tanti invece gli infermieri sono pochi, pochissimi con turni di lavoro lunghissimi (magari preceduti e seguiti da una lunga camminata da e per casa) ed il lavoro da fare infinito: distribuire i farmaci, seguire i protocolli degli operati, tenere sempre sotto controllo i lavaggi continui dei prostatectomizzati, medicare le piaghe da decubito, le ulcere tropicali, le ustioni cambiare chi si è sporcato e poi all’improvviso arriva l’urgenza, il paziente da preparare per l’operazione immediata: BRANULA, SHAVING, CATHETER, FHG, BLOOD GROUP, RBS; in continuazione i nuovi ricoveri, le cartelle cliniche da compilare. Non sempre hai in reparto qualcuno a cui chiedere: i Clinical Officer dopo il giro malati sono dagli out patient, i chirurghi in sala, Fr. Beppe dappertutto.
E i Volontari? Qualche volta è anche difficile parlarsi perché il loro Inglese è scarso e la nostra pronuncia – dicono – particolare; ma questo è solo una parte del problema. Tanti, sia medici che infermieri arrivano con tanta buona volontà ma con l’idea del “loro ospedale” in testa, dove il lavoro è suddiviso tra tante persone, dove i malati sono omogenei nei vari reparti: i chirurgici, i medici, gli ortopedici i neurologici... e spesso hanno esperienza solo di “quel” reparto.
Qui scattano due atteggiamenti: qualcuno chiede cosa può fare per aiutarmi a finire tutta la mole di lavoro, come può fare per lavorare senza tenermi occupato a lungo a fare l’interprete con i malati: le medicazioni in autonomia, l’attenzione alle flebo da cambiare, ai lavaggi per gli infermieri; per i medici il controllo delle cartelle cliniche, degli esami fatti e da fare, le dimissioni, il raccordarsi con i Clinical Officers e con noi, che abbiamo tanto da imparare ma anche tanto da insegnare.
A questo punto noi li lasciamo dire, magari li evitiamo: loro sono come il vento che mette sottosopra le foglie ma poi passa e va; noi invece restiamo, il nostro Ospedale va avanti anche senza questi volontari, ma sicuramente sono occasioni mancate per loro e per noi.
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