Sto lavorando in
ambulatorio e mancano pochi minuti all'inizio della mastectomia in sala.
Siccome so che l'intubazione della paziente e la preparazione del campo
operatorio prenderanno all'incirca 15 minuti, dico a Mama-Sharon di chiamare
una paziente esterna per ecografia ostetrica: l'eco ostetrica è la scelta
migliore nei casi in cui hai i minuti contati, perchè normalmente la esegui,
scrivi il referto, dici due parole di felicitazioni ed incoraggiamento alla
mammina, e poi la rispedisci in sala parto o nella clinica prenatale dove
un'ostetrica continuerà a prendersi cura di lei.
Con mia sorpresa però, la
mia assistente mi informa che la donna è in carrozzina e non può camminare: io
penso subito ad una gravida in avanzata fase di travaglio, magari prossima al
parto.
Apro la porta dello
studio ed invece mi ritrovo davanti una povera creatura gravemente handicappata
sia mentalmente che fisicamente.
E' tutta storpia e
contratta sulla sedia a rotelle dell'ospedale; è chiaramente microcefala, ha i
capelli cortissimi, e presenta tipici caratteri somatici di ritardo
intellettivo grave. E' accompagnata da una mamma anziana ed estremamente
affettuosa nei suoi confronti. Appena mi vede, Gladys si mette a piangere
disperata... evidentemente non ne vede tante di facce bianche dalle sue parti.
Chiedo alla genitrice da
dove vengono: "Da Thangatha", è la risposta che quasi mi aspettavo.
Quello è un posto sperdutissimo, a più di 50 chilometri di strada terribile,
vicino al Parco Nazionale del Meru; la gente laggiù è poverissima, e raramente
è andata a scuola.
Solleviamo Gladys di peso
e la depositiamo delicatamente sulla barella. Lei si arrotola però in posizione
fetale e non c'è verso di farla distendere per l'ecografia. Piange e non vuole
farsi toccare. Ci vuole la tenerezza della sua mamma a convincerla poco alla
volta a rilassarsi ed a permetterci lavorare sul suo pancino.
Gli ultrasuoni confermano
la gravidanza.
Si tratta di un feto
normale, in posizione podalica. Il battito cardiaco è buono e non rilevo alcuna
anormalità nella gestazione.
Non resisto alla
tentazione e chiedo a sua madre se per caso conosce il genitore di quel
bambino.
Lei tristemente mi fa
segno di no con la testa: "ovviamente" peso io ad alta voce. Non
trovo il coraggio di infierire ancora con altre domande all'anziana signora.
Li lascio andare con il
loro referto ecografico: volevano solo quello da noi perché nella piccola
maternità governativa del loro villaggio, l'infermiera aveva detto che alla
visita non sentiva il cranio del feto: "quindi il figlio è normale; ce
l'ha la testa", ripete la mamma di Gladys quasi tra sè e sè.
In qualche modo l'anziana
signora riesce a posizionare la figlia tra il conducente e lei su un mototaxi
che le sta aspettando e con cui già hanno fatto il viaggio verso Chaaria.
Davanti a loro ci sono circa tre ore di sterrato molto sconnesso e di tanta
polvere. Li vedo partire e sparire quasi subito in direzione Giaki.
Non posso però resistere
ai sentimenti che mi ribollono dentro,e, proprio quando dalla sala mi chiamano
per l'operazione, io chiedo a Mama Sharon con sdegno: "secondo te, un uomo
che approfitta sessualmente di una creatura tanto indifesa e malformata
possiamo ancora definirlo essere umano e lo dovremmo chiamare bestia?"
Mama Sharon sospira e non
risponde; mi offre invece berrettino e maschera, e mi sussurra: "andiamo
per l'intervento. Ci stanno aspettando".
Fr Beppe Gaido
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