Era il 1998 e da poco
avevamo dimesso Karimi ed il suo neonato Pasqualino.
Ci sembrava che avremmo
potuto fare molto di più per la nostra gente: il successo appena ottenuto ci
aveva galvanizzati ed un servizio puramente ambulatoriale cominciava a starci
stretto.
Quel letto volante che
avevamo usato per la nostra prima malaria cerebrale era ancora in dispensario,
ma non aveva un posto fisso perchè ogni martedì dovevamo usare quella stanza
per le vaccinazioni dei bambini, e quindi dovevamo smontarlo.
Abbiamo quindi deciso di
collocarlo in modo definitivo nell’angolo vicino al caminetto che ancora oggi è
visibile in dispensario e dentro al quale abbiamo ora posto le batterie dei
pannelli solari.
E’ comunque rimasto vuoto
per poco tempo perchè ci siamo trovati quasi subito davanti ad un’altra
emergenza: si trattava di Monica, una povera mamma di Kathwene a cui Fr
Maurizio aveva pagato la radioterapia al Kenyatta National Hospital di Nairobi per
un carcinoma spinocellulare del cuoio capelluto.
La radioterapia era
andata male e la teca cranica si era praticamente liquefatta, lasciando sul
capo di Monica un cratere enorme.
La poveretta veniva a
farsi medicare in dispensario.
Kathwene è però lontano, a
12 chilometri da Chaaria, e Monica non poteva venire tutti i giorni; ragion per
cui sovente la ferita era gravemente infetta e piena di vermi.
Con il tempo le sue
condizioni generali erano deteriorate gravemente. Monica era ridotta ad uno
scheletro e non poteva più camminare per una distanza simile.
Siamo andati noi a
prenderla nella sua capanna a Kathwene ed abbiamo deciso che sarebbe stato
necessario ricoverarla nel nostro primo letto a Chaaria per una terapia
palliativa.
La medicavamo ogni
giorno, la tenevamo pulita e le facevamo delle flebo in quanto non era in grado
di alimentarsi adeguatamente, le praticavamo antibiotici ed antidolorifici.
Il problema era la notte,
in quanto a quei tempi eravamo un dispensario che chiudeva alle 5 del
pomeriggio, e non avevamo quindi personale oltre quell’orario.
Monica aveva ormai
bisogno di tutto: dall’igiene personale, all’essere aiutata per i servizi
igienici, all’imboccarla per mangiare.
Abbiamo quindi chiesto a
Juliana, che allora si occupava delle pulizie, di iniziare il turno della notte
semplicemente dormendo in una brandina al fianco del letto di Monica, in modo
da essere presente e poter rispondere ad ogni suo bisogno notturno.
Monica è stata con noi
per vari mesi prima di morire. Ci siamo presi cura di lei e l’abbiamo
accompagnata al momento del supremo distacco con estrema dignità.
Ogni tanto venivano a trovarla
i suoi figli, mentre il marito non si è mai fatto vedere... forse perchè temeva
che gli chiedessimo di pagare qualcosa.
Ricordo che andammo io e
Fr Lorenzo ad accompagnare a casa la salma di Monica; rammento la catapecchia
in condizioni disastrose, i bambini che vagavano per il cortile, la fossa già
scavata ed il marito seduto in un gruppetto di uomini.
Monica è stata deposta
nella nuda terra, senza una Messa e senza la presenza di un prete (in quel
periodo a Chaaria non avevamo il parroco ed anche noi siamo stati senza Messa
per alcuni mesi). Ricordo che abbiamo recitato poche preghiere e poi abbiamo
calato il suo corpo nella fossa.
Ci sarebbe stato anche un
po’ di cibo preparato per tutti i partecipanti al “funerale” (come da
tradizione da queste parti), ma Fr Lorenzo ed il sottoscritto non avevamo
voluto fermarci.
Monica è stata la nostra
prima ammalata cronica, ed anche la prima paziente che abbiamo accompagnato
fino alla morte in regime di ricovero.
Non ho mai più visto
nessuno della sua famiglia dopo quel giorno.
Come Karimi, anche lei è
fissa nella mia memoria e di lei non mi posso dimenticare, perchè è una della
pietre fondamentali delle fondamenta su cui la costruzione dell’ospedale si è
poi lentamente consolidata.
Fr Beppe Gaido
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