Pur sempre lontano dalla
realizzazione dei miei ideali, oggi, leggendo il libro di Don Antonio Nora
sulla spiritualita’ cottolenghina, mi sono sentito toccato da varie
suggestioni, che possono anche sembrare anacronistiche, ma che a mio giudizio
conservano tutta la loro attualita’ e la loro forza trainante.
Il primo elemento riguarda la
tesi del nostro Santo sul fatto che i poveri sono i nostri padroni. Qualcuno ha
interpretato questa frase dicendo che il Cottolengo intendeva dire semplicemente
che dobbiamo trattarli come se fossero i nostri padroni. Altri invece sostengono
che il Fondatore volesse esprimere il concetto nella sua verita’: i poveri sono
realmente i nostri padroni... con la conseguenza che noi siamo soltanto dei
servi.
Onestamente io sposo la seconda
interpretazione, e credo che il Cottolengo mi voglia dire che tutto quello che
faccio, deve essere sempre per i poveri, che sono la ragion d’essere della
nostra vita. Studio e mi tengo aggiornato per loro. Lavoro giorno e notte per
loro. Mi prendo due ore di riposo la domenica pomeriggio per tornare ricaricato
e dare loro il meglio, senza il pericolo di diventare “schizzato” ed
irritabile.
Il Cottolengo su questo e’ molto
chiaro, quando ci dice che “per i poveri dobbiamo essere disponibili ad
insozzarci nella immondezza anche fino al collo”, e quando ci ripete che “e’
una bella cosa sacrificare la salute ed anche la vita per i piu’ poveri”.
E’ una esperienza che faccio
tutti i giorni. Il Cottolengo ha ragione a dire che “e’ una bella cosa
sacrificarsi per chi soffre”; infatti, alla fine di una giornata completamente
spesa nel servizio, anche se distrutto fisicamente, ti senti soddisfatto ed hai
la sensazione che la tua vita e’ piena di significato.
E’ una percezione autorigenerante.
Infatti la carita’ vissuta “fino al sacrificio della vita” non ti porta
all’esaurimento nervoso, ma, quasi per una strana alchimia, fa nascere in te
nuove energie, che riescono ad esplodere nuovamente, magari dopo una doccia od
un momento di silenzio in cappella.
C’e’ poi l’altro elemento
essenziale per la mia spiritualita’, e cioe’ che i poveri sono Gesu’.
Questa cosa ha creato dei
problemi a certa critica contemporanea un po’ settaria, in quanto sembra che il
Cottolengo ci proponga una certa sostituzione indebita di persone: c’e’ chi ha
scritto che io devo amare quel povero che si chiama Giuseppe, Maria od Antonio,
e che devo amarli nel nome di Cristo. Se amo Gesu’ in loro e’ come se io
sposassi una donna pensando sempre ad un’altra!
Onestamente, questa a me pare una
sottigliezza che non colgo fino in fondo: per me dire che in Giuseppe, Maria od
Antonio c’e’ Gesu’, non significa mancare loro di rispetto, ma implica una
dedizione ancora piu’ totale e piena di donazione.
Anzi, per quel Gesu’ che amo nel
povero io cerco di essere non solo professionalmente ineccepibile, ma anche
pieno di tenerezza.
Ecco perche’ ritengo che nel
servizio, tutti noi dobbiamo tentare di diventare mamme!
Sono persuaso che sarebbe
bellissimo imparare la dolcezza di una madre, quando serviamo le persone che
soffrono. Essi hanno bisogno della nostra delicatezza, delle nostre carezze,
delle nostre attenzioni, non meno che delle nostre medicine o dei nostri
interventi chirurgici.
Essere mamme per i pazienti vuole anche dire che quando
siamo con loro, essi sono il nostro unico interesse ed il centro di tutte le
nostre attenzioni. In essi vediamo il nostro baricentro e la nostra “stella
polare” da cui nulla ci deve distrarre.
Tutti noi cerchiamo l’ideale centrale per cui spendere la
nostra vita, il faro illuminante, o, se vogliamo, la forza trainante.
Io stesso ancora sto ricercando
la mia stella polare, il sole attorno a cui far girare tutta la mia vita: e,
piu’ passa il tempo, e piu’ mi convinco che la dedizione totale al Signore, servito
e contemplato nel povero, sia la strada che Dio ha preparato per me come
progetto di vita sempre in divenire. In questo ideale di donazione aggiungo
anche un secondo elemento: il mio tentativo mai completamente riuscito
dell’immersone totale tra i poveri. Lo so che umanamente non è possibile, se non
per gente speciale come il Cottolengo. Lo so che abbiamo anche bisogno della
comunità; però come e’ attraente questo ideale!!! Vivere con Gesù presente nel
povero che chiama, per ventiquattr’ore al giorno! Anche oggi a Chaaria, essere
di guardia sempre, sette giorni alla settimana, di giorno e di notte, puo’ apparire
pesantissimo, ma porta con se’ una fortissima carica ideale. Ricordo anche,
quando a Torino dormivo con i Buoni Figli (= handicappati mentali gravi, nel
gergo cottolenghino), in quanto non c’era assistenza notturna: che esperienza
dura, soprattutto per chi come me ha il sonno molto leggero! ma che bello
pensare di essere sempre lì, a loro completa disposizione, di giorno e di
notte!
Questi miei piccoli cenni sono
come una condivisione d’anima: sono attratto da questi ideali, e nello stesso
tempo me ne sento così lontano. Credo comunque che valga la pena provare anche
noi, almeno per quel tanto che le nostre forze ci consentiranno di raggiungere.
Forse non saremo mai come il Cottolengo, ma “il Signore guarda all’intenzione”
e allo sforzo di dare sempre tutto.
Fr Beppe Gaido
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