lunedì 22 dicembre 2014

E' diverso quando capita a te

Parlo con Mwenda. E’ venuto da me per sfogarsi. Ci conosciamo da molto tempo e facciamo lo stesso lavoro, con il medesimo impegno e dedizione. Il colore della nostra pelle e’ diverso, ma il nostro cuore batte all’unisono, infiammandosi per gli stessi ideali e per le identiche cause di giustizia e servizio. 
Mwenda e’ emotivo come me, e se e’ venuto, vuol dire che ha qualche turbamento interiore che deve condividere perche’ non riesce a gestirlo da solo. A volte sputare il rospo serve, e fa diminuire il livello di tensione interna.
So che devo ascoltarlo e basta. So che lui ha in se stesso le risorse. Non ha bisogno di parole ne’ di consigli. Gli serve solo un cuore aperto all’ascolto che funga da ansiolitico in un attimo di turbamento.
“Sono tutto orecchie, amico. Cosa ti e’ successo?”
“Ti ricordi quante volte siamo andati in giro per insegnare alla gente le norme basilari sulla prevenzione dell’AIDS? Rammenti con quanta enfasi sottolineavamo le vie di trasmissione, i comportamenti a rischio, i modi con cui uno puo’ infettarsi?”
“Certo! E’ uno degli argomenti piu’ frequenti che ci chiedono di trattare nelle scuole, nelle parrocchie ed in vari gruppi ed associazioni”.
“Gia’, e’ vero. Pensa a quando ci riempivamo la bocca di numeri. La percentuale di infezione per una puntura con ago infetto e’ circa dello 0.2%... quindi bassissima. Questo dato ci portava a dire che il personale sanitario in realta’ corre dei bassi rischi, perche’ le statistiche dicono che se si bucano duemila persone,  solo due hanno la possibilita’ di infettarsi”.



“Si’. Questo e’ proprio quello che crediamo e cerchiamo di far conoscere alla gente”.
“Pero’, Beppe, noi abbiamo sempre parlato degli altri, e parlare sulla pelle altrui non e’ poi cosi’ difficile.
Ora il mio problema e’ che mi sono bucato durante un cesareo di una donna infetta da HIV. Mi sono disinfettato subito e mi sono lavato con acqua corrente. Ho fatto uscire il sangue.
Poi ho concluso l’intervento dicendo a me stesso: mi sono punto tante volte con pazienti di cui neppure conoscevo lo status... anche questa volta non succedera’ nulla.
Ma appena fuori della sala il mio cervello e’ andato in paranoia. Dopo quel cesareo ne ho avuto un altro a ruota. Ho cercato di rimanere calmo, ma quel piccolo dolorino al dito mi ricordava continuamente la possibilita’ che qualche virus fosse gia’ entrato nel mio torrente circolatorio. Inoltre quella percentuale dello 0.2% non e’ riuscita a tranquillizzarmi: e se fossi proprio uno di quei due sfortunati che si infettano, malgrado i 1998 che invece non di beccano niente?
Ho quindi deciso di prendere la profilassi. Ma anche questa non e’ stata una scelta indolore. Prendere farmaci antiretrovirali ha avuto in me un indubbio impatto anche emotivo. Poi, leggendo la serie di effetti collaterali e le possibilita’ di tossicita’ anche gravi, la mia crisi e’ aumentata. Devo davvero assumere la medicina per 28 giorni, correndo tutti questi rischi di reazioni indesiderate per sparare contro un nemico che forse non e’ neppure entrato nel mio corpo?
All’ inizio e’ prevalso il no: non prendo niente e mi affido all’aiuto di Dio. Poi pero’ i fantasmi sono ritornati all’attacco: ho ripensato alla dottoressa Corti che in Uganda si e’ presa l’AIDS in sala operatoria. Se la scienza ci da’ delle opportunita’ di prevenzione, perche’ non usarle?
Ora ho iniziato. Da una parte questo e’ peggio perche’, se magari non prendessi le medicine, mi dimenticherei piu’ facilmente dell’incidente. Pero’ almeno in futuro non potrei darmi dello scemo se il test malauguratamente risultasse positivo ed io non avessi assunto la profilassi.
Sai cosa mi fa sorridere amaramente? Se mai dovessi bucarmi di nuovo fra un mese, cosa farei? Prederei di nuovo le pastiglie per altri 28 giorni? Preferisco non pensarci. Era tanto tempo che non mi succedeva nulla in sala operatoria”.
“ Caro Mwenda, cosa dirti: e’ capitato a te, e quindi per me e’ sin troppo facile parlare quando la croce non e’ caduta sulla mia testa. Certo, dobbiamo accettare questo come parte dei rischi del nostro lavoro. Se sceglievamo di fare i commercialisti, molto probabilmente non avremmo di questi problemi e di queste ansie. Preghero’ per te. Comunque, credo che la scelta di assumere la terapia sia stata quella giusta. Solo mi raccomando una cosa: non dimenticarti di prenderla. Sii fedele... altrimenti non serve a nulla... e siccome ti conosco, e so che non sei mai riuscito a portare a termine neppure un antibiotico prescritto per cinque giorni, penso che ti dovrai veramente impegnare a fondo.
In questo modo avrai fatto la tua parte. Il resto lascialo a Dio”
“ Se divento positivo, ci sara’ qualcuno che mi crede, o tutti inizieranno a dire che me lo sono preso andando a donne?”
“ Di questo non preoccuparti davvero. Dio proteggera’ il tuo nome... e poi, alla fin della fiera, noi siamo quello che siamo, e Dio lo sa. Cio’ che la gente dice non aggiunge ne’ toglie nulla, se la nostra coscienza e’ tranquilla. Ancora una cosa: per favore continua ad operare; non lasciarti prendere dallo scoraggiamento. Se lasci la chirurgia adesso, potresti non essere poi piu’ in grado di riprendere. E’ come chi smette di guidare dopo un incidente stradale. Per favore vinciti, e lavora come prima. La tua mano e’ troppo importante per salvare ancora molte vite”.

Fr Beppe Gaido




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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