Fatto sta che, anche prima di laurearmi, mi ritrovavo spesso a navigare su Internet per cercare associazioni di volontariato con le quali poter partire; passavo ore tra un sito e l’altro, a leggere esperienze di chi già c’era stato, come si era trovato, a guardare foto di incantevoli paesaggi. Tutto ciò fino a quando la mia collega e amica Serena, anche lei col medesimo sogno, mi ha fatto conoscere l’associazione Karibu Africa Onlus, il gruppo di volontari sardi derivato dall’associazione Cottolengo di Torino. Io e Serena abbiamo superato un colloquio e partecipato ai loro incontri per capire meglio di cosa si trattasse. Sempre più convinte, abbiamo iniziato il lungo iter di vaccinazioni-passaporto-ricerca di informazioni-acquisto di materiale vario.giovedì 15 gennaio 2015
Diario del Kenya
Fatto sta che, anche prima di laurearmi, mi ritrovavo spesso a navigare su Internet per cercare associazioni di volontariato con le quali poter partire; passavo ore tra un sito e l’altro, a leggere esperienze di chi già c’era stato, come si era trovato, a guardare foto di incantevoli paesaggi. Tutto ciò fino a quando la mia collega e amica Serena, anche lei col medesimo sogno, mi ha fatto conoscere l’associazione Karibu Africa Onlus, il gruppo di volontari sardi derivato dall’associazione Cottolengo di Torino. Io e Serena abbiamo superato un colloquio e partecipato ai loro incontri per capire meglio di cosa si trattasse. Sempre più convinte, abbiamo iniziato il lungo iter di vaccinazioni-passaporto-ricerca di informazioni-acquisto di materiale vario.Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.
Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.
Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.
Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.
Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.
E poi, andare dove?
Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.
Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.
Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.
Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.
Questo è quello che facciamo, ogni giorno.
Fratel Beppe Gaido






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