GG è mamma di una bambina di quattro anni ed è felicissima
nello scoprire di essere nuovamente incinta. La seguo regolarmente con
ecografie ostetriche e tutto sembra del tutto regolare.
Siamo ormai vicini alla
data del parto e GG è a casa sua: una sera, quasi a ciel sereno si trova
imbrattata di sangue ed in preda a contrazioni violentissime. Prima che i
parenti riescano ad arrivare in ospedale, GG è prostrata e quasi incosciente.
Bisogna procedere a stabilizzarla ed è opportuno cercare sangue da trasfondere
con ungenza. Nel frattempo faccio l’ecografia e vedo un enorme ematoma
retroplacentare, mentre il feto accusa un distress gravissimo con battito cardiaco
ampiamente al di sotto dei cento.
Bisogna correre e rischiare un cesareo seppure con paziente
instabile. GG viene addormentata con ketamina per evitare che la spinale
abbassi ulteriormente la sua pressione già imprendibile.
Tagliamo quel pancione alla velocità della luce; il
maschietto che tiriamo fuori non dà però segni di vita. Siamo scossi e
depressi, ma bisogna salvare la vita della mamma, per cui continuiamo a
lavorare con attenzione e concentrazione finchè l’intervento finisce e la
pressione arteriosa risale grazie ad abbondanti trasfusioni.
Il post-operatorio è regolare, anche se la mamma è depressa,
mentre il marito urla nei corridoi e vuol commettere suicidio.
Poi il tempo pian piano lenisce le piaghe del cuore, e sia
GG che consorte ritrovano una certa serenità. La figlia primogenita riempie la
loro casetta. GG è un’infermiera professionale e capisce bene cosa sia un
distacco di placenta: una complicazione tanto imprevedibile quanto pericolosa
sia per le madri che per i nascituri.
Il marito però è ansiosissimo; desidera il secondogenito, e
per me è un duro lavoro il continuo counseling riguardo alla necessità di aspettare
prima di programmare un’altra gravidanza: spiego a quel genitore che si tratta
comunque di un cesareo, e rimanere incinta troppo presto esporrebbe GG al
rischio di rottura d’utero.
Passano quasi due anni ed io finalmente sciolgo la prognosi:
la coppia può ora cercare un bimbo, che onestamente non tarda molto a venire.
La gravidanza viene affrontata con ansia da entrambi i
genitori che mi cercano preoccupati per
ogni minimo problema.
La situazione più ansiogena si verifica circa tre settimane
orsono: GG lamenta contrazioni e dice di non sentire i movimenti fetali. Me la
trovo nuovamente in ospedale verso le 22. Faccio un’ecografia d’urgenza e
confermo che siamo a 35 settimane di età gestazionale. Il peso del bambino è prossimo
ai 2500 grammi, ma non è abbastanza maturo per essere partorito. Il battito
cardiaco fetale non è estremamente brutto ma non è neppure dei migliori: il
feto ha una tachicardia superiore ai 180 battiti al minuto, ma non ha aritmia
nè presenta decelerazioni del ritmo.
Sono preso tra l’incudine ed il martello, o, come dicono gli
inglesi, tra una roccia ed un posto duro: fare il cesareo per evitare che il
battito poi peggiori e si ripresenti il dramma di un bimbo nato-morto? Ma è
troppo presto per far nascere la creatura! E se poi, dopo l’operazione ci si
accorge che i polmoni non sono maturi ed il piccolo non sopravvive per distress
respiratorio? Se lo faccio nascere pretermine e poi non sopravvive, i genitori
mi colpevolizzeranno di certo!
Sono angosciato, ma a GG ostento una tranquillità ed una
sicurezza che non ho: la ricovero per osservazione, dicendole che il battito
sicuramente migliorerà. Quella notte dormo male e sono disturbato, ma il
mattino seguente l’ecografia mi rassicura e mi dà ragione: con la terapia instaurata,
il battito cardiaco ritorna in range. Dimetto GG dopo un paio di giorni, e le
do un appuntamento due settimane più tardi in modo da programmare il cesareo
elettivo a 37 settimane di gravidanza.
Il giorno programmato arriva e naturalmente nel mio cuore
c’è un misto di gioia e di preoccupazione: gioia perchè non mi sono sbagliato
ed il feto è effettivamente più grande all’ecografia e del tutto normale;
preoccupazione perchè permane il timore che qualcosa di storto accada durante
l’intervento.
E naturalmente la sfortuna fa capolino anche stavolta: le
infermiere cercano la vena per la preparazione alla sala dalle 5 del mattino
fino alle 10.30; ovviamente poi la spinale risale troppo e GG sviluppa
ipotensione grave e crisi di apnea. Bisogna quindi far nascere il pupo alla
velocità della luce, per evitare che le condizioni generali materne influiscano
anche sulla salute del nascituro: nasce una bimba molto vispa, che piange
vigorosamente subito dopo aver fatto capolino dalla breccia operatoria. Anche
GG pian piano riprende a respirare e possiamo terminare l’operazione con un
minore livello di ansia e tensione.
Il post-operatorio comunque trascorre senza problemi: GG è
felicissima, nonostante qualche dolore che controlliamo facilmente con la
petidina; suo marito è raggiante e continua a promettermi che preparerà per me
un lauto banchetto a base di capretto.
Li saluto pochi minuti fa, in quinta giornata dopo
l’intervento; vanno a casa contenti. Lei mi dice soltanto: “Doc, è stato
davvero un lungo viaggio che abbiamo fatto insieme”. Lui mi dice: “A casa
adesso ho due fiorellini... anzi tre, contando mia moglie che riaccolgo sana e
salva”.
Fr Beppe Gaido
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