La mattinata era stata
abbastanza tranquilla e dopo la Messa eravamo riusciti a visitare tutti I
pazienti operati in settimana ed a dimetterne un buon numero.
Dopo le due del
pomeriggio l’ospedale era stranamente calmo, con pochi pazienti ambulatoriali,
nessuna mamma in travaglio e nessuna emergenza all’orizzonte. Sono quindi riuscito
a riposare un po’ ed a farmi anche una bella dormita.
Poi però alle 17.45 vengo
chiamato dall’infermiere dell’ambulatorio, che appare abbastanza scosso e preoccupato.
“E’ successo un incidente
stradale. Si tratta del solito mototaxi troppo carico di passeggeri. Ci sono
due feriti: uno è in condizioni discrete, ma l’altro è davvero malmesso”.
La scena che mi trovo
davanti è tremenda: nella stanza c’è sangue ovunque; il paziente giace sulla
barella; è ancora tutto imbrattato di terra ed urla di dolore chiedendo dei
calmanti.
Ci sono ferite in varie
parti del corpo,soprattutto al lato destro del corpo; ci sono tagli sul viso,
sulla mano, sulla gamba e sul piede.
Ma la cosa che preoccupa
di più sono le fratture: siamo di fronte ad un politrauma con entrambi gli arti
inferiori spezzati in più frammenti, con una frattura dell’estremo prossimale
dell’omero ed un’altra del bacino.
Il paziente è anche
ipoteso e dobbiamo rianimarlo con liquidi in vena.
L’eco addome fatta d’urgenza sembra escludere che ci siano emorragie
interne o rotture di organi.
Con estrema fatica,
soprattutto a causa del dolore che gli causiamo ad ogni movimento, eseguiamo le
indagini radiologiche usando il fluoroscopio della sala: impossibile
trasportarlo a Meru in quelle condizioni, e poi i servizi radiologici a cui
normalmente ci rivolgiamo sono chiuse di domenica.
Per riuscirci dobbiamo
ricorrere ad un anestetico: anche la morfina infatti non è stata sufficiente.
Dopo esserci chiariti con
le lastre la tremenda situazione ortopedica del nostro paziente (ci vorranno
forse 6-7 ore di intervento per fissare con placche e viti le varie ossa
rotte), ci mettiamo al lavoro: dapprima suturiamo le ferite sanguinanti, quindi
ci dedichiamo alla mano destra, dove c’è un tendine sezionato.
Procediamo poi alle
fratture. Facciamo però in tempo ad occuparci solo di quella dell’omero, prima
che le condizioni generali del nostro malato inizino a precipitare
vertiginosamente.
Non capiamo che cosa stia
succedendo: la pressione cala ed il polso si fa via via più flebile; il respiro
diventa superficiale e bisogna intubare il malato ed affidarsi al respiratore.
L’anestesista ci dice di
continuare con il nostro lavoro, mentre lui avrebbe tentato in tutti i modi di
stabilizzre le condizioni generali.
Che strano – penso io
mentre lavoro -le ferite non sanginano più, l’emocromo non rivela un’anemia
importante, l’eco addome è negativo.
Sarà una emorragia
cerebrale?
Il trauma cranico c’è
stato eccome: lo abbiamo suturato anche sulla faccia. Chissà che botta ha preso
sul cranio.
Lavoriamo con il cuore
sempre più pesante perchè il monitor, con il suo continuo bip-bip, ci informa
che il nostro cliente sta andando in bradicardia spinta.
L’anestesista si affatica
e fa tutto quello che può, ma i battiti cardiaci si rarefanno costantemente,
finchè, ad un certo punto, dal monitor non esce più quel rassicurante suono ritmico
del battito cardiaco, ma solo un allarme angoscioso, accompagnato dalla
scritta: asistolia.
Lasciamo la ferita e ci buttiamo
nel massaggio cardiaco: andiamo avanti per venti minuti, ma il cuore non
riparte. Siamo stremati, ma soprattutto costernati e tristi.
Abbiamo perso questo
paziente: d’accordo, il politrauma era in effetti gravissimo, ma onestamente
avevo sperato di sistemare tutte quelle fratture e di salvargli la vita...ma
non ci sono riuscito.
Sarà dura dirlo ai
parenti che sono fuori ed aspettano notizie.
Fr Beppe
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