sabato 5 settembre 2015

Dramma all'ufficio accettazione

E’ orario di visita e l’ospedale è congestionato in una maniera inverosimile. Per certi versi, in questi giorni Chaaria mi ricorda unlazzaretto della peste manzoniana.
Anche in accettazione è un caos continuo.
Allo sportello si accalcano coloro che devono essere ricoverati, quelli che invece sono stati dimessi, oltre a chi viene per ritirare un esame istologico o per prelevare dal mortuario il cadavere di un parente defunto.
Un gruppo di persone in abiti da festa neri (quelli che si indossano per un funerale importante) vengono a chiedere il certificato di morte ed il permesso di sepoltura per una certa signora che era stata ricoverata nel reparto donne. Dicono di aver fretta perchè la cerimonia funebre è stata organizzata per il pomeriggio; sia il pastore che la gente già stanno attendendo la defunta per iniziare le esequie.
La segretaria guarda attentamente nelle cartelle dei decessi, ma quel nome non lo trova.
“Ma siete sicuri che questa defunta fosse ricoverata qui e non in un altro ospedale?”
Interviene a questo punto una donna di mezz’età, che più tardi scopriamo essere la figlia:
“Certo che era ricoverata a Chaaria! Mi ricordo anche il numero del letto. Sono stata io a vedere che era morta; sono andato a casa e l’ho detto a mio papà che ora è qui vicino a me, e vuole vedere per l’ultima volta il volto della sua sposa, prima che venga chiusa la bara”.


La segretaria a questo punto pensa che la cartella clinica della morta possa essere stata dimenticata in reparto, a causa delle condizioni estreme di lavoro e della confusione causate dallo sciopero:
“Vado a vedere in reparto se i documenti fossero ancorà là, perchè magari il medico non ha avuto tempo di firmare i fogli”
“OK. Veniamo con te; così forse vediamo il dottore e gli chiediamo qualcosa sulla causa del decesso”
Appena arrivati nello stanzone delle donne, la figlia accompagna il papà verso il letto dove giaceva la mamma negli ultimi giorni della sua vita terrena.
Certamente voleva dire a lui ed anche alla segretaria: la mamma era proprio qui!
Non posso però esprimere il livello di stupore ed incredulità di quella gente, quando su quel letto non si sono trovati un nuovo ricoverato, ma la mamma stessa, viva e vegeta, ora migliorata e sorridente.
“Perchè siete così tanti oggi? E come mai siete vestiti così?”, ha domandato la vecchietta un po’ perplessa.
Il marito strabuzzava gli occhi e non sapeva se ridere o piangere. Poi è corso dalla moglie ed ha cominciato a toccarla da tutte le parti, come per rendersi conto che non fosse un fantasma.
A questo punto ho preso il coraggio ed ho chiesto alla figlia: “ma come hai fatto a dire che tua mamma era morta? Come facevi ad esserne così sicura da informare tutti a casa ed organizzare addirittura il funerale religioso?”
“Io sono venuta nell’orario di visita ed ho visto il letto vuoto. Mi sono spaventata ed ho incominciato a piangere. Poi sono scappata a casa ed ho dato la notizia a tutti: ero certa che, non essendo nel letto, doveva essere morta!”
Alla fine le ho sussurrato: “Magari tua mamma era solo andata al gabinetto... ora comunque penso che siate tutti stra-felici che non sia affatto morta e sia ancora con voi...anche se oggi avrete il vostro bel da fare a spiegare l’accaduto al vostro pastore ed a tutta la gente radunata per il funerale”.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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