Per me è importante
cercare di sorridere alla gente, anche quando non ne ho voglia, anche quando dentro
sento ribellione o tristezza.
Credo che il sorriso sia
parte del mio servizio e del mio apostolato: vorrei che il mio sorriso gentile
ed affettuoso trasmettesse serenità e pace a chi sta male ed a Chaaria ci viene
perchè disperato, povero ed ammalato.
Non sempre ci riesco: a
volte la gente mi chiama “burbero” e mi dice che ho un caratteraccio scontroso;
lo so di essere a volte incoerente, ma ciò non toglie che nel sorriso io ci
creda e che per esso mi impegni molto ogni giorno, pur con le mie debolezze.
Chiara Lubich la chiamava l’ascesi del sorriso, un’ascesi difficile ma
importante da perseguire.
Questo sorriso in cui
credo, la serenità di fondo che permane anche nelle burrasche che spesso si
agitano dentro e fuori di me, affondano le loro radici profonde in quella poca
fede che spero di aver conservato ancora, nonostante tutte le batoste che la
vita mi ha dato: una fede che non passa attraverso ragionamenti teologici di
cui non sono neppur capace, ma che si alimenta di un quotidiano in cui cerco di
dedicarmi a quegli ultimi in cui mi sforzo di riconoscere il volto di Cristo.
Il mio sorriso certamente
nasce dall’empatia che cerco con l’umanità sofferente, ma anche dalla bellezza
della vita, soprattutto quando viene donata gratuitamente con amore.
I sofferenti sono la
quotidiana verifica della mia piccola fede ed insieme la fonte della mia gioia;
sono la rivelazione di quel Cristo che un giorno mi ha chiamato perchè gli
imprestassi le mia mani, il mio cuore e la mia mente, per soccorrerlo nelle più
multiformi afflizioni:
“Il bisogno delle
persone, prive di ogni possibilità di cure , il loro grido di aiuto, sono stati
un pugno allo stomaco che mi ha chiesto di moltiplicare le mie prestazioni, di
sporcarmi le mani nelle loro fatiche, di non voltare mai la testa dall’altra
parte” (cfr. Polvere Rossa)1.
La gioia di fondo che
sopravvive anche nei momenti più bui e pieni di disorientamento,
quotidianamente si rigenera nel rapporto con gli ammalati: spendendomi con
tutte le mie forze per gli ammalati ho ritrovato una forza autorigenerante ed
una gioia che sboccia direttamente dalla sofferenza altrui ed anche mia.
Sono
contento e sereno solo quando metto il malato al primo posto, solo quando mi
alzo al mattino con la determinazione di dare il massimo e di fare dei
sofferenti il centro della mia giornata e dei miei sforzi.
Quando vedo l’ambulatorio
strapieno di pazienti in attesa, quando vedo i loro sguardi imploranti e
rassegnati nello stesso tempo, penso spesso ai “vinti” di Verga, o ai “miserabili”
di Victo Hugo; penso agli “invisibili della storia” di cui parla Alex
Zanotelli: ma sono proprio loro gli artefici della mia gioia.
Gli ammalati mi insegnano
ogni giorno che la vera felicità è quella sensazione di pace e di serenità interiore che provi quando
t’immergi nell’esistenza di chi ti sta accanto e la vivi pienamente, come se
fosse la tua.
Ma non è sempre facile ed
a volte la gioia se ne va, e con essa il sorriso dalle tue labbra: può essere
un insuccesso in ospedale, un malato che muore nonostante i tuoi sforzi,
un’incomprensione, un giudizio negativo che non ti aspettavi, il senso di colpa
per non aver dedicato tutto il tempo necessario alla preghiera. Ci sono momenti
bui, quando le certezze di sempre, i riferimenti di una vita sembrano
barcollare, sopraffatti da una stanchezza insostenibile, dagli insuccessi, dalle
incomprensioni, dalla sensazione che lo stesso Dio sia assente.
Quando vivo queste “notti
oscure” che a volte si prolungano per settimane, cerco di buttarmi ancor più
nella dedizione totale, perchè lo so che “la mia scelta preferenziale per i
poveri che hanno diritto di chiedermi un servizio fino al sacrificio della
salute e della vita, è la mia strada maestra per andare a Dio e per ritrovare
la gioia” (cfr: Polvere Rossa)1.
Nota: Beppe Gaido,
Mariapia Bonanate. Polvere Rossa. Edizioni San Paolo.
PS. Nelle due foto di
oggi invece potete vedere il parcheggio di Chaaria nel 2004 (in bianco e nero),
e nel 2016 (a colori): la chiamo spesso la rivoluzione cinese, quella che ha
invaso il mercato di motocicli a besso prezzo.
Fr Beppe Gaido
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