domenica 8 ottobre 2017

Due parti per terra

Sono le 22 di un sabato tremendo. 
Sono stanchissimo, anche perche' ieri notte ci sono stati un cesareo alle 23 ed una placenta ritenuta alle 2 del mattino. Oggi poi e' stata una giornata campale, senza un attimo di respiro e con tantissimi interventi.
Ho appena finito un raschiamento in sala parto e sto portando la paziente in reparto. 
All'improvviso si sente un vociare crescente delle tantissime donne in travaglio che popolano l'ospedale e tutti I suoi possibili marciapiedi. 
Accorro per appurarmi di cosa si tratti e vedo Carol gia' intenta ad accompagnare una mamma verso la sala parto. 
Quest'ultima cammina in maniera goffa mentre tiene in braccio il suo neonato. Seguo Carol per aiutarla, facendomi largo tra la ressa di partorienti.
Tagliamo il cordone ombelicale e portiamo il bimbo sul lettino termico, prima di prenderci cura della donna: "non avevo male e me ne stavo fuori in cortile, poi ho sentito una doglia fortissima e mi sono trovata il bimbo tra le braccia...ecco perche' non mi sono presentata in sala parto per la visita di controllo".
Sto sistemando la donna sulla barella ed intendo praticarle l'ossitocina, ma un'altra paziente entra in sala parto ululando dal male e camminando a "gattoni".


La prendo per le spalle e l'aiuto ad alzarsi per raggiungere la barella poco distante.
Lei pero' fa resistenza e mi dice: "il bimbo sta arrivando adesso".
Mi abbasso e guardo. 
In effetti la testa e' gia' fuori.
C'e' a mala pena il tempo di distendere la paziente sul pavimento, che anche questo bimbo nasce, pure lui vivo e vegeto. 
Intanto le infermiere accorrono e si prendono cura sul pavimento anche di questa nuova mamma, che dopo il secondamento si alza trionfante, va a sdraiarsi in barella camminando da sola e chiede subito di suo figlio.
Le infermiere mi guardano e quasi si scusano: "a volte succede" mi dicono.
Onestamente io trovo strano che non capiti piu' sovente ancora, in una situazione tale in maternita'.
Ed intanto sono le 23, ma invece di andare a letto dopo questo scritto, torno in sala per un altro cesareo.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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