venerdì 6 ottobre 2017

Tripletta

La paziente arriva a Chaaria in pieno travaglio.
Dice di aver avuto male da tantissime ore.
Ha tanto meconio ed ha una dilatazione quasi completa.
La pancia e' veramente enorme, e questo mi fa sospettare una gravidanza multipla.
Faccio ecografia in sala parto usando lo strumento portatile, in quanto la donna non riesce piu' a camminare.
Lei si contorce ed e' alquanto difficile fare l'esame. Vedo comunque due testoline e quindi immediatamente faccio diagnosi di gravidanza gemellare. 
Vedo che i feti sono in posizione trasversa, e questo mi spinge ancor piu' velocemente a decidere per un cesareo.
La spinale va bene, nonostante il pancione enorme.
La paziente si presenta stabile, e quindi procediamo con calma all'estrazione dei bimbi.
Nasce il primo maschietto, non senza qualche difficolta' legata alla presentazione trasversa. Sono gemelli biovulari e quindi mi appresto a rompere il secondo sacco amniotico. 
Stavolta riesco ad afferrare un piedino ed il parto podalico mi riesce senza complicazioni. Nasce stavolta una bambina, bella e vivace.
A questo punto cerco la placenta con le mani per il secondamento, ma palpo quello che pare un terzo sacco amniotico.
Guardo con attenzione e resto sbigottito. In effetti sono davvero tre.
Urlo allo staff "ce n'e' un altro!", ci prepariamo a ricevere il bambino che stavolta esce cefalico. Si tratta di un altro maschietto che piange sonoramente.


La donna e' scossa. Fino a qualche minuto fa non sapeva neppure di avere dei gemelli. Ora si ritrova con una tripletta.
Non riesce quasi a parlare, e poi, mentre alla fine stiamo suturando la cute, ci dice semplicemente: "a casa ne ho altri sette!"
Sono strafelice che sia andato tutto bene, ma sento anche il dramma di questa mamma che ora a casa ha 10 bocche da sfamare.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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