martedì 9 gennaio 2018

Joel Mururu

Nessuno sa con esattezza quanti anni avesse davvero.
Qualcuno dice che sia nato nel 1958.
Qualcun altro asserisce che Mururu sia del 1963, mentre altri lo danno nel 1968.
Quello che e’ certo e’ che dal 20 gennaio 1987 e’ stato parte della nostra famiglia qui a Chaaria, presso il centro dei Buoni Figli.
E’ stato accolto al centro Buoni Figli da Fr Giuseppe Meneghini, allora superiore locale.
Mururu presentava un deficit intellettivo medio grave, ma era capacissimo di relazione ed era estremamente affettuoso con tutti, servizievole verso gli altri Buoni Figli (particolarmente i piu’ gravi) e verso gli orfanelli.
Era molto laborioso: negli ultimi mesi ha davvero aiutato tanto Sr Evanjeline in lavanderia e stenditoio dei Buoni Figli.
La famiglia di Mururu vive a Kaguma, a quattro chilometri da Chaaria, e lui e’ stato sempre molto attaccato ai suoi cari.
Sempre era desideroso di andarli a trovare e di stare un po’ con loro.
Questa smania di andare a casa negli ultimi tempi era diventata ossessiva, tanto da chiedere di ritornarvi ogni volta che rientrava al centro…a casa pero’ non ci poteva stare piu’ di due giorni, senza sentire il bisogno di tornare qui.


Era legatissimo a suo padre, morto alcuni anni fa ed a sua madre, deceduta solo pochi mesi fa. Devo dire che la morte della mamma ha devastato Mururu, che e’ in grado di comprendere il significato del distacco definitivo.
Piu’ volte ha espresso il desiderio di essere sepolto a casa sua.
Mururu e’ una figura storica del nostro centro, amato da tutti i volontari che sono passati da Chaaria.
Anche per la gente di Chaaria era un’istituzione, a giudicare dal numero di messaggi di condoglianze che stiamo ricevendo.
Mururu era anche particolarmente legato a me. Mi voleva un gran bene e mi cercava continuamente. Ero il suo compagno preferito come chierichetto alla Messa della domenica in ospedale. Mi veniva a trovare in ospedale e mi chiedeva le cose piu’ strane, da un libro che mai avrebbe letto a delle cartoline postali gia’ scritte.
Ultimamente gli era venuto il fotone del telefonino e finalmente ne aveva ottenuto uno rotto con cui comunque faceva telefonate infinite con la sua fidanzata immaginaria (Customer) o con i suoi cari. Con lo stesso telefonino rotto continuana a fare foto immaginarie durante la messa.
Quante volte mi ha chiesto di accompagnarlo a casa!
Quante volte lo abbiamo reso felice mettendolo su un matatu che lo portasse dai suoi!
Quante volte anche siamo andati a recuperarlo nel cuore della notte perche’ si perdeva ritornando al centro da solo.
Quante famiglie buone lo hanno accolto per la notte quando si perdeva per poi chiederci al mattino di andarlo a recuperare!
Nessuno si aspettava che morisse e per noi e’ insieme una sorpresa ed una grandissima perdita.
La sua malattia e’ stata improvvisa, ingravescente e totalmente resistente a tutte le terapie da noi provate: se era davvero solo una polmonite, come diceva la lastra del torace, beh, allora era resistente anche agli imipenemici. Se poi c’era anche uno scompenso cardiaco, anche questo non ha risposto ai farmaci.
Onestamente il vuoto che ha lasciato a Chaaria e’ profondissimo.
Mururu ci manca moltissimo e tutti siamo molto mesti, anche se lo pensiamo felice in Paradiso.
Anche i ragazzi del centro in qualche modo lo sentono e sono parecchio giu’ di morale.
Oggi la Messa e’ stata celebrate per lui.
Informero’ del funerale quando lo avremo organizzato

Fr Beppe










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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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