venerdì 24 agosto 2018

Mukululu water project

La foresta di Mukululu è una delle mete più affascinanti durante le gite domenicali per i volontari. Si tratta di uno spettacolo meraviglioso di alberi maestosi che non fanno quasi passare la luce del sole, di felci preistoriche enormi, di scimmie che si rincorrono sugli alberi.
Ma ancora più affascinate è l’enorme lavoro compiuto da un uomo di umilissime condizioni, un uomo che ha studiato fino alla 5°elementare, ma che si è dimostrato un genio autodidatta della ingegneria idraulica. Si tratta di Fratel Giuseppe Argese, dei Missionari della Consolata.
La sua storia a Mukululu comincia moltissimi anni fa: gli era stato chiesto di realizzare una conduttura di pochi chilometri con lo scopo di portare un po’ d’acqua alla Disabled Children Home di Tuuru. 
Lui ci ha pensato e ripensato ed oggi davanti a noi c’è una meraviglia del genio umano che porta acqua a più di 200.000 persone.
Tutto era iniziato con una idea semplice: realizzare una tubatura lunga circa 10 chilometri, a partire da una cascatella del torrente Amwamba, nella forsta di Mukululu, che essendo posta a 2200 metri sul livello del mare, avrebbe dato acqua a Tuuru (a 1800 metri) per semplice gravità.
Il problema si presentò però subito complesso. Come si poteva attraversare con le tubazioni sotterranee villaggi popolatissimi come Kangeta, Karama o Mutuati, senza offrire loro rubinetti e pompe idrauliche?


Stessa situazione si ripresentava quando si doveva attraversare il campo di vari piccoli contadini, per raggiungere la missione di Tuuru.
Tutti davano il permesso di scavare nel campo a condizione di avere anche loro una pompa ed un abbeveratoio per le mucche. 
In poco tempo, i dieci chilometri di tubature previste diventarono 50. Ora però la situazione diventava difficile: con tutte queste prese laterali, la cascatella non riusciv più a fornire acqua sufficiente ed alla missione non arrivava più nulla.
Esplorando la zone, Fr Argese trovò nella foresta altre sorgenti e furono costruite altre 7 prese d’acqua, che si dirigevano verso un invaso appena costruito insieme ad una diga.
Ma il genio di quest,uomo eccezionale, tanto taciturno e a volte misterioso da essere chiamato dalle popolazioni locali MUKIRI (cioè silenzioso), fu quello di comprendere che, se non si potevano scavare pozzi in verticale ad una altitudine di 2000 metri, si sarebbe però potuto fare lo stesso in orizzontale, con dei lunghi cunicoli sotterranei. 
Lui aveva compreso che una foresta equatoriale trattiene l’umidità anche della rugiada; la terra sotto gli alberi era dunque come una enorme spugna.
Scavando numerose gallerie, e sfruttando il gocciolamento d’acqua dalle radici degli alberi, Argese è stato n grado di creare un sistema perfetto di pendenze, per cui questi rigagnoli pian piano andavano tutti a svuotarsi in un grande serbatoio da lui costruito.
Fu un lavoro immane, che comportò abbattimento di alberi quasi millenari, il livellamento di parte della montagna, la costruzione di più di 6 chilometri di strada nella foresta, in un ambiente umido e fangoso e con pendenze veramente vertiginose.
Fr Mukiri è stato aiutato da più parti in questa sua opera faraonica: i benefattori fioccavano dalla Germania, dall’Olanda, dalla Svizzera, dagli USA, dal Kenya, oltre che dal Cottolengo di Torino.
Oggi ci sono 3 dighe con altrettanti laghi artificiali, e sempre il genio di Argese trova nuove soluzioni tecniche per rubare più acqua al sottosuolo di questa foresta in cui il tempo si è fermato.
Circa 200.000 persone hanno acqua nel proprio villaggio grazie a questo umilissimo missionario della Consolata ormai ultraottantenne.
Lui continua a vivere ai piedi della foresta in una casa completamente costruita dalle sue mani, e da lui battezzata LO CHALET DELL’ORSO.
Orso infatti Giuseppe si definisce, ma io posso testimoniare che ha un cuore bellissimo e tenero, reso forse un po’ rustico dagli anni trascorsi nel duro lavoro in foresta.
Fr Argese è stato insignito di importanti premi internazionali per questa meraviglia idraulica. Si è recato anche a New York per ricevere uno di questi riconoscimenti.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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