lunedì 19 novembre 2018

Le medicazioni per ulcere e piaghe

Una delle attivita’ certamente molto importanti per gli infermieri che ci vengono ad aiutarci qui a Chaaria e’ quella della cura di piaghe, ulcere e ferite.
Nei Paesi Tropicali ci sono molti tipi di piaghe: e’ spesso difficile classificarle e molte volte non se ne conosce neppure la causa.
Insieme formano un gruppo molto eterogeneo definito: ULCERE TROPICALI.
Sono normalmente cosi’ croniche nel tempo da durare anni o decenni ed essere quindi definite in Kiswahili: “kidonda ndugu” (letteralmente piaga amica), per significare che il paziente e la sua ulcera sono rimasti insieme per cosi’ tanto tempo da diventare amici.
Sono normalmente torbide e spesso infette. A volte sono addirittura ricoperte di larve di mosca che in Inglese vengono difinite maggots.
Spesso hanno una tendenza alla status quo, e con questo intendo dire che ne’ migliorano, ne’ peggiorano, ma continuano a provocare dolore e ad essere causa di invalidita’, oltre che essere una porta aperta per le infezioni, soprattutto se si considerano le condizioni igieniche in cui molto spesso vivono i nostri pazienti. A volte complicano con osteomielite.


Le ulcere tropicali per la maggior parte interessano le gambe, ma possono anche essere trovate in altre parti del corpo (questo e’ il caso per esempio delle ulcere da leishmaniosi cutanea, o bottone d’Oriente).
Tra le cause piu’ frequenti di piaghe riconosciamo:
1) l’ ulcera di Buruli
2) la piaga tropicale di eziologia sconosciuta
3) la tubercolosi cutanea
4) la cellulite o piomiosite suppurata
5) il piede diabetico
6) le ulcere flebostatiche in paziente obeso
Da tenere in considerazione e’ il fatto che la nostra fisioterapia segue anche molti casi di paralisi: Guilllain Barre’, TBC osse, esiti di ictus.
Inoltre spesso abbiamo pazienti HIV in stadio terminale.
Queste sono le tipologie di pazienti che sovente complicano con ulcere e piaghe da decubito.
Il volontario infermiere che viene da una struttura sanitaria ben piu’ avanzata di Chaaria potra’ spesso trovarsi un po’ in difficolta’ nel gestire queste patologie, soprattutto per la mancanza di preparati, medicine e strumentario.
Sul mercato non troviamo pomate da usare per favorire la granulazione dei tessuti (esempio: fitostimoline od altro), ne’ si trovano pomate con poteri fibrinolitici da usare su ulcere sporche (come Iroxol o Elase).
Preparazioni piu’ moderne come il duoderm sono introvabili qui da noi.
E’ vero che spesso riceviamo questi preparati dall’Italia, ma il volontario dovra’ tenere conto che a volte puo’ succedere che non abbiamo ne’ pomate, ne’ duoderm.
In questi frangenti, io credo molto nella asepsi e nella disinfezione con potenti preparati in grado di uccidere la maggior parte dei germi (sto parlando del Betadine, che e’ presente a Chaaria). Inoltre per i decubiti sono essenziali i continui cambiamenti di posizione del malato.
Normalmente, quello che consiglio e’ una sequenza che puo’ essere piu’ o meno di questo tipo:
1) se la piaga e’ sporca, cominciamo con acqua ossigenata che poi cerchiamo di asciugare accuratamente per evitare eccessivi danni anche su tessuto granuleggiante.
2) Lavaggio con acqua fisiologica, seguito poi dalla disinfezione con betadine (naturalmente, se le pomate sono disponibili, le usiamo a seconda della diversa indicazione)
3) Medicazione chiusa in modo da evitare ulteriore contaminazione o danni da strofinamento da parte delle traverse.
4) Non supporto molto l’uso di pomate o lozioni antibiotiche locali, che mi pare selezionino germi resistenti a causa della bassa dose con cui il farmaco viene assorbito. Se l’ulcera e’ settica preferisco cicli di antibioticoterapia sistemica.
5) Abbiamo avuto buoni risultati dall’uso di una pappa che prepariamo con normale zucchero di canna mescolato a betadine: sembra molto efficace per uccidere i germi con meccanismo osmotico; in pratica questa pappa densa richiama liquidi attraverso la membrana cellulare dei batteri, li disidrata e li fa morire.
6) Ogni volte che sia possibile, a contatto con la piaga applichiamo garze vasellinate che noi stessi prepariamo qui in loco (a volte ne abbiamo anche di preconfezionate dall’ Italia).
7) Per quanto riguarda le ustioni, la sequenza di medicazione e’ piu’ o meno la stessa. Ma alla fine applichiamo una pomata di sulfadiazine d’argento all’ 1% w/w. 
Per le ustioni e’ naturalmente molto importante l’uso delle garze vasellinate che previene almeno in parte l’adesione della medicazione alla piaga, adesione che sarebbe dolorosissima per il paziente alla medicazione seguente, e potrebbe anche causare il distacco delle cellule neoformate. 
Proprio per questa ragione io supporto la medicazione quotidiana, anche in considerazione del fatto che i nostri ustionati non vengono tenuti in camera sterile. Quando le garze vasellinate stanno sulla ustione per piu’ di 24 ore, diventano secche e aderiscono.
Quando ci sono aree di necrosi, e’ opportuno organizzare escarectomie e toelette chirurgiche, in cui i volontari potranno contare sulla nostra collaborazione anche dal punto di vista dell’anestesia.
Nel caso di ascessi, grandi aree di piomiosite e morsi di serpente, si procede alla medicazione a piatto con ittiolo finche’ si e’ certi della colliquazione del pus, e poi si organizza una incisione e drenaggio del materiale necrotico. 
Le medicazioni seguenti seguiranno lo schema sopra descritto ma si lasceranno sempre delle garze sterili imbevute di betadine nelle cavita’ dell’ascesso per impedire la chiusura della breccia cutanea prima della guarigione dal fondo. Gli ascessi e le piomiositi devono guarire sempre per seconda intenzione.
Spesso ricoveriamo casi di osteomietilte in cui facciamo una sequestrectomia. Anche in questo caso la medicazione seguira’ le linee guida degli ascessi. Non permetteremo mai che ci sia la chiusura della cute prima della ricrescita dal fondo.
Al volontario infermiere puo’ capitare di medicare una ferita chirurgica suturata in un paziente che ha un gesso o una doccia gessata: in genere si tratta di ferite con concomitante frattura ossea o rottura tendinea. 
E’ importante che il volontario si metta in contatto con il dottore o il clinical officer il giorno in cui si tolgono i punti, perche’ normalmente il gesso va rifatto e tenuto per un altro mese in modo da permettere alla frattura o al danno tendineo di guarire.
Nel caso di piede diabetico seguiamo piu’ o meno le stesse modalita’ di disinfezione ed antisepsi che mettiamo in pratica per gli altri tipi di ulcera. In questo caso staremo attenti a riportare al personale di ruolo ogni segno di osteomielite e di gangrena che potrebbero poi portare alla necessita’ di amputazione.
Nel caso un volontario infermiere si trovi davanti ad una ulcera piena di vermi bianchi che si muovono nei tessuti, deve farsi forza e resistere all’inevitabile senso di ribrezzo. 
Si tratta di maggots, cioe’ di larve di mosche che sono maturate e schiuse negli anfratti della piaga stessa, ed hanno trovato un ambiente favorevole sia come condizioni di umidita’ che di temperatura. 
E’ una complicazione frequente ai tropici e non significa necessariamente che il nostro ospedale sia sporco o che non ci prendiamo cura dei pazienti. La lotta alle mosche e’ particolarmente difficile in queste condizioni climatiche.
Sara’ comunque opportuno cercare di impedire alle mosche di posarsi su ferite o medicazioni, quanto piu’ sia possibile. Quando i pazienti piagati sono a letto, e’ bene che usino la zanzariera anche di giorno.
Quando sono in carrozzina, per prevenire i maggots, ci affidiamo soprattutto a delle medicazioni ben chiuse.
Per rimuovere questi vermi usiamo immergere l’arto e la parte ulcerata in una bacinella piena d’acqua in cui abbiamo aggiunto dell’ euclorina. che fa morire le larve. 
Se invece si tratta di una parte del corpo che non puo’ essere immersa in un secchio (ad esempio il cordone ombelicale infetto di un bimbo nato a casa), si faranno impacchi con acqua ed euclorina, fino a quando le larve saranno morte. Dopodiche’ vanno rimosse manualmente con l’aiuto di garze o di pinze.
Nel post-operatorio, normalmente medichiamo la ferita a giorni alterni. Credo che a questo proposito non ci siano differenze tra quanto facciamo qui e quanto vedete fare nei reparti chirurgici in Italia. 
La diversita’ principale sara’ forse nei cerotti che abbiamo a disposizione. Normalmente non disponiamo di fixomul e quando ce lo abbiamo, lo usiamo esclusivamente in sala operatoria. La medicazione serve anche per segnalare al chirurgo qualunque tipo di complicazione (sieroma, suppurazione, deiscenze). I punti vengono normalmente rimossi alternati in settima giornata post operatoria. Se poi la ferita e’ bella asciutta, vengono rimossi completamente in ottava.
Spesso capita di avere pazienti con pulci penetranti (giggers in Inglese). Sono per la maggior parte localizzate ai piedi e alle mani.
Anche in questo caso e’ utile chiedere consiglio ai colleghi infermieri locali sul come rimuoverle senza rompere il sacco. 
Non bisogna affatto preoccuparsi perche’ quando la pulce penetrante e’ nel sottocute di una persona e’ gia’ morta ed ha gia’ deposto le uova. Il
sacco che non vogliamo rompere e’ infatti l’uovo stesso da cui prima o poi spuntera’ una nuova pulce che saltera’ via e vivra’ nella polvere fino al momento di riprodursi nuovamente, quando di nuovo tentera’ di attaccare un poro sudoriparo di un malcapitato passante. Le giggers non danno sintomi superiori a quella che potrebbe dare una spina di legno sotto la pelle ( io me le sono prese parecchie volte). 
Il problema dei nostri pazienti e’ che ne hanno centinaia e sono infette, e quindi anche piene di pus. Anche per questi malati e’ opportuno disinfettare abbondantemente con betadine, dopo aver rimosso la pulce.
Ecco cari amici infermieri alcune idee di fondo. Sono sicuro di aver dimenticato moltissime cose, e sarei davvero felice se da questo scritto potesse nascere una specie di piccolo forum in cui infermieri gia’ venuti a Chaaria scrivessero loro consigli per completare quello che ho scritto e dare ai futuri volontari qualche strumento in piu’ per non scoraggiarsi quando saranno qui a Chaaria ad aiutarci.

Ciao,
Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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