Essere chiamato a servire i poveri ed i malati lontano dal proprio ambiente, in una cultura diversa ed in una realta’ certamente piu’ difficile della nostra, porta spesso a idealizzarli. A volte immaginiamo virtu’ che in realtà loro non hanno... poi, stando qui per anni, ci si rende conto che sono persone come tante. Spesso chi e’ nato in Occidente da una famiglia relativamente agiata, ritiene che i poveri siano brava gente, per il semplice fatto di essere poveri. In seguito, una delusione dopo l’altra ci porta a comprendere che i poveri non sono necessariamente brava gente, neppure quelli che hanno sofferto molto. E’ ovvio, se ci si pensa a mente fredda: essi sono capaci di qualunque cosa, proprio come noi. Possono essere rozzi, falsi e vigliacchi, proprio come noi... anche se moltissimi sono estremamente buoni, e sicuramente ci precederanno nel Regno dei cieli. Ma la coscienza che il loro svantaggio non li rende migliori e non li mette su di un piedistallo, ci aiuta a servirli con un sano senso della realta’ e con la doverosa coscienza che noi missionari (come anche i volontari che ci aiutano) dobbiamo fare ogni cosa prima di tutto per Dio.
Questa riflessione nasce da una cocente delusione che ho or ora ricevuto nel nostro ospedale. Forse quanto ci capita quotidianamente e’ solo uno specchio, o una specie di microcosmo che esemplifica quello che succede un po’ dovunque, perche’ la natura umana e’ uguale a tutte le latitudini.
La storia di Bonface la conoscete, perche’ e’ apparsa sul blog non piu’ di due mesi fa. Era un caso di tetano, causato da una circoncisione tradizionale eseguita senza rispettare le minime norme dell’asepsi.
Le sue condizioni sono state terribili, e Bonface e’ stato tra la vita e la morte per lunghissimo tempo. Per lui abbiamo impiegato un sacco di risorse, oltre che di dedizione. Poi Dio ha voluto che proprio questo diciassettenne entrasse in quella percentuale dell’1%, che riesce a sopravvivere ad un tetano conclamato.
Si e’ ripreso gradualmente; le contrazioni sono dapprima diminuite fino a scomparire; ha re-imparato a deglutire ed a nutrirsi, ma ha avuto bisogno di molta fisioterapia a causa dei dolori e dello stretching muscolare causato dalla terribile patologia.
A guardarlo sembrava un’altra persona: pareva quasi che fosse sgonfiato ed il suo viso ha ripreso ad essere quello di un adolescente.
Quando e’ arrivato il momento di mandarlo a casa, abbiamo voluto parlare con i suoi genitori. Abbiamo loro spiegato i rischi della circoncisione tradizionale, al fine di evitare una cosa del genere per i fratelli minori di Bonface. Abbiamo anche cercato di far loro capire quanto fossero stati fortunati a riavere il loro primogenito: moltissimi sono morti e non ce l’hanno fatta!
“Le spese per lui sostenute sono state altissime – abbiamo detto con realismo – ed e’ chiaro che senza queste medicine, non sarebbe sopravvissuto. Non vi chiediamo molto, ma e’ giusto che contribuiate ai costi, perchè questo ospedale è “vostro”, e deve essere in grado di andare avanti anche quando i soldi e le donazioni del “wazungu” dovessero cessare. Tutti in Kenya parlano di self reliance: aiutateci con quanto potete, in modo che l’ ospedale di Chaaria possa essere in qualche modo sostenibile anche in un futuro senza sussidi dall’estero. Il vostro figlio primogenito vale ben piu’ di una capra o di una mucca: dateci un segno del vostro apprezzamento, anche come ringraziamento a Dio che vi ridona il vostro ragazzo”.
Naturalmente, come sempre accade, i genitori ci hanno detto di aver compreso e di condividere la nostra posizione. Ci hanno assicurato che non avrebbero mancato di onorare la promessa, e che avrebbero venduto uno dei loro bovini per accogliere Bonface a casa. Continuavano a ripetere: te lo promettiamo davanti a Dio!
Poi però sono spariti del tutto. Abbiamo atteso per piu’ di una settimana e non abbiamo ricevuto alcun segno dalla famiglia.
Ieri improvvisamente i loro piani mi sono diventati chiari: infatti Bonface e’ sparito dall’ospedale scappando con la divisa dei pazienti. E’ passato dal bananeto, dove ha scavalcato la rete di cinta. In strada era atteso da una persona che aveva affittato un motociclo per il trasporto. Sono di Mikinduri, e per me e’ quasi impossibile rintracciare la loro abitazione.
Avrei anche potuto decidere che tutto fosse gratis. Luca per esempio ha pagato completamente il ricovero della giovane diabetica a cui abbiamo amputato una gamba. Quello che fa piu’ male e’ il modo in cui tutto cio’ e’ avvenuto: la vicenda dimostra che in loro non c’e’ stato il minimo senso di riconoscenza verso di noi, e che, come in molti, anche nel loro cuore alberga il solito pensiero per cui i Bianchi sono ricchi, ed a loro non bisogna dare uno scellino.
E’ vero che noi non siamo poveri, ma e’ anche la sacrosanta verita’ che un atteggiamento del genere e’ proprio la causa di tante cattedrali nel deserto: ospedali missionari che sono stati fiorenti finche’ i “wazungu” hanno continuato a pompare Euro, e poi sono amaramente crollati in pochi mesi dopo che i Bianchi se ne sono andati.
Come e’ difficile far loro cambiare questa mentalita’, che, alla fin della fiera, lavora a loro danno e discapito. Quanto è dura far capire che è irrazionale pretendere tutto gratis. Non so se mai ce la faremo. Speriamo solo che Chaaria non diventi un giorno un’altra di queste scoraggianti cattedrali inutili.
Fr Beppe
PS: continuiamo a non avere connessione internet per cui chiedo scusa a chi mi ha scritto e non ha ricevuto risposta
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