A tutto questo si aggiunga la tensione di andare a lezione come se fossi legato ad un guinzaglio: ci vado infatti con il telefonino acceso e sempre temendo la fatidica chiamata per un cesareo urgente.
Mi sono seduto in classe, ma devo ammettere che e’ noiosa: oggi l’argomento e’ di tipo ginecologico. Il relatore parla di emorragie mestruali patologiche, tema in se’ molto rilevante perche’ assai frequente... ma il suo modo di parlare e’ terribilmente monotono e concilia il sonno, soprattutto dopo una grande corsa come quella di oggi, in cui abbiamo dovuto far fronte a non meno di 300 pazienti. Siamo seduti attorno ad un tavolo e la mia distanza dal “professore” non supera i due metri: dormire sarebbe molto scortese nei suoi confronti, ma tenere gli occhi aperti e la mente attenta e’ una lotta continua.
Cio’ che effettivamente mi sveglia dal torpore in modo brutale, e’ il telefonino: e’ legale infatti tenerlo acceso, perche’ si puo’ essere di guardia mentre si e’ a lezione... peccato che io di guardia lo sia sempre. Guardo il piccolo monitor: e’ Pinuccia che chiama. Deve esserci un problema, perche’ lo sa che nono a scuola. Mi avvio verso il balcone per non disturbare gli altri: “Si tratta di Wambeti, la nostra infermiera responsabile di sala parto. Ha rotto le acque ed il battito cardiaco fetale e’ troppo rapido. Inoltre ha un cicatrice pregressa dovuta a disproporzione cefalo-pelvica”.
La notizia mi desta dal sonno completamente. Provo a chiamare Jesse prima ancora di rientrare in aula per chiedere il permesso di uscire: “Pronto, si’ dottore... Mi dispiace; non posso veramente aiutarti perche’ sono a Nairobi!”.
Un altro rivolgimento interiore ed una mano che mi stringe sullo stomaco: “devo fare io la anestesia, e poi lasciare il follow up a Pinu durante il cesareo”.
La comunicazione con il responsabile della KMA (Kenya Medical Association) e’ velocissima: faccio scivolare un bigliettino sul tavolo, mentre il ginecologo, ormai al termine della sua presentazione, chiede ai pochi uditori di fare domande. Il chairman mi fa un cenno di assenso con la mano ed accetta le mie scuse. In pochi minuti sono in macchina, insieme a Joseph, che sempre mi fa compagnia quando vado a lezione di notte. Fortunatamente non ha piovuto, ed il percorso, seppur accidentato, non ci da’ alcun problema. Non usiamo la sirena, ma accendiamo il faretto rotante sulla capotta dell’ambulanza, per scoraggiare eventuali ladri e per poter correre a tutta velocita’ senza doverci preoccupare di un eventuale posto di blocco della polizia.
In trenta minuti sono gia’ in sala parto e la saluto. Wambeti e’ molto serena, e totalmente fiduciosa. Le spiego che non ho trovato l’anestesista, ma lei mi ripete che mi ha aiutato varie volte, e sa che non ho problemi a praticarle una spinale.
“Come va il battito cardiaco fetale?” chiedo a Lucy, effettivamente preoccupata per la collega.
“E’ rapido, ma regolare... sui 150 al minuto”.
La piu’ tranquilla di tutti sembra proprio Wambeti: “Ti ricordi che all’eco mi avevi detto che era un maschio? Speriamo che non ti sia sbagliato, perche’ ho gia’ una bambina e mi piacerebbe tanto avere la coppia”.
“Lo saprai tra pochi minuti... di solito ci indovino quasi sempre!”
In sala Wambeti e’ bravissima: serena, totalmente cooperante e sempre sorridente. Fortunatamente la spinale mi riesce subito, e non devo “zappare” nella sua colonna vertebrale. L’attivita’ respiratoria e’ sempre regolare, a parte qualche piccolo problemino legato a insistenti conati di vomito.
Mi commuove quando la nostra infermiera dice a Pinuccia: “prova la pressione... la flebo sta per finire... come e’ la saturazione?”. Sembra che sia di turno, e parli di un’altra paziente.
Intanto dall’altra parte della barricata Kathure ed io cerchiamo di essere veloci e precisi. Il bisturi scorre e penetra; a volte tiriamo, ed altre dobbiamo stare attenti a fermare l’emorragia. Ma, strato dopo strato, ci avviciniamo all’obiettivo: prima il giallo sottocute, che recede senza problemi, poi la lucida fascia che incidiamo con rapidita’. Quindi i suoi giovani muscoli, che dilatiamo senza danneggiare. Aperta la grigia membrana del peritoneo, ci troviamo di fronte all’utero che si presenta “bello”, senza aderenze o segni di rottura: “Accendiamo l’aspiratore... Allertiamo l’infermiera di sala parto... Pronti a ricevere il bambino”.
Pochi secondi ed eccolo li’; e’ effettivamente un bel maschiotto di 3 chili; urla e si dimena; fa la pipi’ sul campo operatorio, ed afferra ogni cosa, prima ancora che io riesca a passarlo a Pinuccia che lo accoglie alle mie spalle in un telo sterile. Wambeti lo guarda ed afferma con solennita’: “Welcome, my son!”
Poi da questo momento tutto procede piu’ traquillamente. Richiudiamo ogni tessuto con la massima cura, e stiamo attentissimi a non lasciare punti sanguinanti. Come sempre, quando operiamo su amici e conoscenti, siamo molto tesi, ed in qualche modo divisi: da una parte vogliamo finire in fretta; dall’altra sappiamo che la fretta non e’ una buona consigliera e potremmo fare errori. Fino all’ultimo punto sulla cute cerchiamo di trovare il giusto mezzo tra queste due mozioni interiori contrastanti.
Wambeti e’ entrata in sala con 8 grammi di emoglobina. Non ha sanguinato un granche’, ma e’ meglio non tentare la fortuna. Eseguiamo le prove crociate, e, quando e’ a letto nella camera del post-operatorio, le mettiamo su una sacca.
Ancora una volta rendiamo grazie a Dio per come sono andate le cose. E’ sempre una grande responsabilita’ tenere la vita di due persone nelle prorie mani. Ma il Signore ci ha aiutati e guidati, ancora una volta.
Grazie anche a te, cara Wambeti, che non hai voluto andare altrove, dandoci una grandissima prova di stima e di fiducia, che mai dimenticheremo.
Fr Beppe
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