domenica 6 dicembre 2009

Lettera su Chaaria - Il tempo scorre lento e rapidissimo

I giorni passano velocissimi, sembra che ci sia tanto da fare da far prolungare la percezione delle giornate ma invece il tempo vola. È strana l’Africa, il tempo è ovattato, sembra di vivere in uno strano dormiveglia. È diverso che durante le vacanze estive. Non me lo sono mai potuto spiegare. Forse sono i ritmi degli autoctoni, i rumori, la sensazione di trovarti in un mondo non tuo in cui si è come sospesi… come vivere osservando, presenziando, prendendo parte attiva agli avvenimenti ma  nello stesso tempo come senza farne parte, come fantasmi…  Si potrebbe scomparire da un momento all’altro senza che nessuno se ne renda conto. Ciò mi insegna molta umiltà e mi spiega che, come si dice: tutti sono utili ma nessuno è indispensabile.
Mi spiace se non riesco a descriverlo bene.  
Qualche sera fa è successa una cosa brutta, alle 22,30 circa hanno portato in ospedale una ragazzina di 14 anni massacrata a colpi di panga (cioè di machete). Era talmente conciata male che anche Fr. Beppe è rimasto sconvolto. Ed è tutto un dire perché certe cose qui non sono infrequenti. Quindi sono stato chiamato per aiutarlo, così mentre io cucivo da una parte lui lo faceva dall’altra. Mi veniva da piangere a guardarla e pregavo. Per fortuna Dio ha concesso agli operatori sanitari quel caratteristico distacco durante le operazioni chirurgiche che “ci” permette di concentrarci sul lavoro da fare e di non lasciarci impressionare troppo dal lato umano. Ma abbiamo patito per lei. Era tagliata in più punti: nel braccio, alla mano, al cranio ma soprattutto alla base del collo. Era quasi decapitata, come le incisure nel tronco degli alberi quando i boscaioli vogliono buttarli giù. Ma la Provvidenza ha voluto che il taglio per quanto profondo sia rimasto tangenziale all’osso occipitale e  non abbia raggiunto organi nobili quali il midollo spinale e i grossi vasi del collo. Un miracolo vero e proprio. Abbiamo finito di ricucirla all’una di notte, fra i suoi lamenti di dolore, perché era sedata e non anestetizzata, sarebbe stato troppo rischioso. Abbiamo lavorato in anestesia locale e lei è stata tutto il tempo cosciente.
Oggi l’abbiamo medicata, lamenta ovviamente dolore ma è viva, muove la testa normalmente e anche le dita della mano (erano sbrindellate). Niente fratture ai raggi. È andata bene.
Questi avvenimenti fanno pensare. Mi vergogno dei miei lamenti per i miei problemi.
Qui sono tante le storie tristi. Lo so che è un ospedale ed è normale ma qui si aggiungono il degrado e le misere condizioni di povertà di certuni. Se hai un tumore qui muori e basta. Tanto la cura, se c’è negli ospedali di Nairobi, costa troppo.
Alcuni vengono abbandonati in ospedale dai parenti, che non tornano più. Per loro basta anche solo una parola mentre passi, per sentirsi considerati.
Scusate se scrivo queste cose. Sono orribili lo so, ma esistono. Così sapete anche per che cosa pregare, per i cristi crocifissi nel corpo che ci sono qua a Chaaria e per quelli disperati nell’anima che invece sono dovunque.
Ma non ci sono solo storie tristi. In ospedale si curano persone altrimenti abbandonate dagli altri istituti. Come la ragazzina di cui ti ho parlato prima. Adesso è ricoverata e si appresta a guarire, ma l’altra sera non avremmo scommesso un centesimo che sopravvivesse.
Oppure l’urgenza di questa mattina: una mamma con un prolasso del cordone ombelicale. Taglio cesareo di urgenza con una probabilità che il bimbo sopravviva solo del 10%. Il bimbo ce l’ha fatta e abbiamo finito l’intervento in tempo per l’Eucarestia domenicale.
Questa notte c’è la luna piena. All’equatore appare così vicina, grande e luminosa che fuori sembra mezzogiorno. Io non sono uno molto poetico ma stasera devo proprio inchinarmi al creato.  


Un volontario

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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