giovedì 29 aprile 2010

Alcune caratteristiche della spiritualità di S. Giuseppe Cottolengo

Questa piccola riflessione desidera essere un umile contributo della comunita’ di Chaaria per onorare il nostro Padre Fondatore nel giorno di domani, anniversario della sua morte, e sua festa liturgica.
Certo non e’ un trattato esaustivo dello spirito cottolenghino, ma una semplice occasione di riflessione e di esame di coscienza, soprattutto per chi, come noi, si sforza di seguire le orme di questo grande Santo:
Pensiamo al Cottolengo come  all’uomo delle Beatitudini: egli fu beato perché fu povero ed amò i poveri “anche con il sacrificio della vita”. Per gli abbandonati ed i derelitti egli divenne operatore di giustizia: divenne per loro un padre ed un testimone della bontà di Dio Padre Provvidente. Egli fu perseguitato da vari creditori, che arrivarono perfino a percuoterlo, ma rimase fedele alla sua determinazione di dedicare la propria vita al servizio di coloro che il mondo rifiuta.
Il nostro Fondatore fu puro di cuore, e per questo fu capace di vedere Dio in ogni creatura: è dalla purezza di cuore che scaturì quell’occhio limpido capace di contemplare Gesù sotto le spoglie di chi soffre.
Altra caratteristica centrale della Spiritualità Cottolenghina ci pare essere la gioia profonda, che può andare di pari passo con tanta disperazione contemplata ogni giorno nei reparti di Chaaria.
La gioia è il frutto del vivere costantemente alla presenza di Dio; deriva dalla certezza che “siamo tutti figli di un Buon Padre che più pensa a noi di quanto noi pensiamo a Lui”. Siamo nella gioia perché sappiamo che la Piccola Casa appartiene alla Divina Provvidenza, che sempre guida la sua creatura per sentieri a volte difficili, ma sempre orientati al nostro Bene maggiore.
Anche quando vediamo le cose andare storte; anche quando la carenza di vocazioni e di forze nuove ci potrebbe far pensare che forse stiamo “morendo”, noi rimaniamo sereni. Pensiamo alle parole del Santo Fondatore che dice: “passeranno le famiglie, ma fra 500 anni si parlerà ancora della Piccola Casa”.
La nostra gioia deriva dal vivere alla giornata. A Dio dobbiamo ripetere: “Signore, per amarti non ho che oggi”. Il passato infatti non esiste più: è stato cancellato dalla misericordia di Dio. Il futuro non esiste ancora. Potremmo essere morti fra un istante, ed il domani potrebbe anche non venire mai. Per questo “cerchiamo il Regno di Dio e la sua giustizia, certi che il rimanente ci sarà dato in sovrabbondanza”.
La gioia del Cottolengo è intimamente legata alla sua umiltà, che lo portò a considerarsi un semplice manovale della Divina Provvidenza, uno strumento nelle mani di Dio. Il Cottolengo era sereno perché profondamente convinto che “nella Piccola Casa chi fa tutto è la Divina Provvidenza”, e che noi siamo tutti utili, ma nessuno è davvero necessario.
Ecco quindi un altro ideale di vita spirituale da realizzare con fatica: imparare ad essere “manovali della Provvidenza”, “marionette che oggi fanno una parte e domani ne fanno un’altra… mentre il giorno dopo possono essere messe nel magazzino perché non servono più”.
Intimamente legata all’umiltà è la virtù della semplicità, che ci aiuta ad “andare alla buona”, tanto nelle cose spirituali, quanto in quelle materiali. Per chi si ispira al Cottolengo è necessario semplificare la propria vita e capire che la nostra credibilità si gioca su poche idee forza che noi cerchiamo di mettere in pratica: siamo figli di un buon Padre, che ci ama e vuole aver bisogno di noi per prendersi cura dei bisognosi. Noi allora ci abbandoniamo completamente a Lui e con tutto il cuore cerchiamo di contemplare e servire Gesù presente nel più povero.
Le complicazioni, gli scrupoli non servono al nostro progresso spirituale; ci rendono incapaci di “impiegare tutti i nostri affetti, pensieri, parole ed opere per la maggior gloria di Dio”. Le complicazioni ci fanno perdere un sacco di energie che invece potremmo usare per servire gli altri. Ecco perché il Cottolengo ci dice di “andare alla buona” anche nella nostra personale spiritualità!
Pensando poi agli insegnamenti centrali della spiritualità cottolenghina, noi riconosciamo che siamo stati chiamati ad una profonda vita interiore fatta di preghiera ed amor di Dio.
“La preghiera è il primo e più importante lavoro della Piccola Casa”, nel senso che, se manca l’orazione ed il contatto con Dio, anche la carità si isterilisce, diminuisce gradualmente fino a scomparire. Siamo dunque chiamati ad essere dei contemplativi, che ricercano con passione quell’ “equilibrato rapporto tra contemplazione delle verità rivelate e servizio al povero esplicato per amore di Dio”.
La nostra vita deve essere una costante lotta contro l’attivismo, sapendo che la nostra preghiera “non va ridotta neppure di un’Ave Maria”; deve essere una appassionata ricerca di tempi da salvaguardare unicamente per il Signore, perché sappiamo che, solo se siamo pieni di Dio, avremo poi la capacità di riconoscere e servire Gesù nel povero. Non possiamo dare quello che non abbiamo; e non possiamo contemplare ciò che non conosciamo. Ecco quindi l’essenziale ruolo della preghiera, che è come il “distributore di benzina” dove andiamo a riempire il cuore, al fine di renderlo capace di realizzare quell’alta missione che il Cottolengo ci affida di “avere Gesù tutto il giorno tra le mani”.
Lo sappiamo che il servizio di carità urgente prende il posto della preghiera ed anche della Messa domenicale, perché “non è lasciare Dio, quando lo si lascia per incontrare e servire Dio”; allo stesso tempo sappiamo che ciò deve rimanere una eccezione, pena il rischio di svuotare completamente la nostra azione di carità.
Il Cottolengo ci ha lasciato il dono di una particolare devozione alla SS Eucaristia, che noi riceviamo tutti i giorni, come nutrimento spirituale per resistere alle tentazioni, e per avere la forza necessaria a servire Gesù nel povero, “anche con il sacridicio dellla vita”.
L’Eucaristia è per noi il sole che riscalda il nostro cuore di pietra; è la forza divina “per compiere bene i nostri doveri”; è il medico spirituale che ci aiuta a progredire sulla via della santità.
Crediamo che il Cottolengo ci volesse contemplativi nell’azione: per questo egli volle la”Laus Perennis”, cioè l’adorazione continua davanti a Gesù Sacramentato: noi riceviamo Gesù come nostro cibo, lo adoriamo sotto le specie eucaristiche per diventare capaci di scoprire “quelle ostie che ogni giorno serviamo sui letti delle nostre corsie”.
La preghiera continua ci apre ad un altro elemento cardine, che è la confidenza in Dio Padre buono e provvidente. Il Cottolengo è il santo che ha scoperto e sperimentato la paternità di Dio: egli ha compreso che Il Padre nei cieli ci ama e si prende cura di noi, ci protegge e ci guida. Se Dio pensa ai gigli del campo e agli uccelli del cielo, quanto più si prende cura di noi, se crediamo nel suo amore e ci abbandoniamo alla sua azione. Dio ci ama e veglia su di noi suoi figli: egli è sempre all’opera: al mattino vigila su di noi ancor prima che ci svegliamo, ed alla sera è ancora là a proteggerci quando ce ne andiamo a letto stanchi, dopo aver fatto tutto quanto era in nostro potere.
Il nostro dovere è di “cercare prima il Regno dei Cieli e la sua giustizia”, ed allora tutto ci sarà dato in aggiunta: Il Cottolengo crede che è la Provvidenza a fare andare avanti la Piccola Casa; è la Provvidenza che manda i pazienti da curare, e quindi, per forza di cose, ci manderà anche le forze ed i mezzi economici per servirli. I poveri per noi “sono le cambiali della Divina Provvidenza”. Se abbiamo tante cambiali da presentare alla banca della Provvidenza, riceveremo tanti aiuti. Ma se non accogliamo i poveri, avremo poche cambiali, e non potremo aprirci ai dono che Dio ha in serbo per noi. Ecco la divina gara: la Divina Provvidenza impegnata “a mandar giù pagnotte”, a patto che noi accogliamo tanti bisognosi e distribuiamo questo pane, che non è nostro, ma dei poveri.
Abbandono significa non aver paura; significa coraggio nell’accogliere coloro che bussano alla nostra porta, sicuri che, se Dio ci manda una persona da aiutare, poi ci manderà anche i mezzi necessari per farlo.
La Provvidenza non è donata ai pusillanimi o ai pigri; solo se avremo fatto tutto quello che era in nostro potere, il Signore farà il miracolo per “dar successo a tutte le nostre imprese”.
Altro compito che ci dobbiamo prefiggere giorno dopo giorno è la “lotta al peccato grande e piccolo”: infatti il peccato è un blocco insormontabile all’azione della Divina Provvidenza.
Essere di buon gusto con Dio, cercare di dargli gloria in ogni cosa”: ecco i segreti spirituali per attirare l’abbondanza dei doni della Divina Provvidenza su di noi.
Il Cottolengo fu poi il Santo della Carità; il suo motto “Charitas Christi urget nos” ci indica tutta la ricchezza del suo insegnamento sull’amore al prossimo. E’ l’amore di Cristo in me che mi dà la forza di riconoscere Gesù nei poveri. Questo significa che è il mio amore per Cristo a darmi la forza di servirlo nei poveri (dimensione verticale della carità). Ma posso anche tradurre la frase di San Paolo in un altro modo: è il mio amore per Cristo presente nel povero, che mi spinge a servirlo nel prossimo (dimensione orizzontale della carità).
L’amore di Cristo ci spinge prima di tutto a volerci bene in comunità, ad imitazione della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. E’ centrale questa dimensione di unità nella fraternità. Il Cottolengo vuole riproporre nella Piccola Casa “quello spirito che animò i primi fedeli”: dobbiamo volerci bene tra noi, perché la carità comincia in casa. Non si può amare davvero i poveri dei nostri reparti, se non sappiamo “accogliere il confratello come un dono di Dio”. L’amore che i primi Cristiani vivevano era un amore di condivisione. Essi “erano un cuor solo ed un’anima sola, e a nessuno mancava il necessario, perché quanti possedevano case o campi, li vendevano, e mettevano il ricavato ai piedi degli Apostoli, i quali poi distribuivano secondo il bisogno di ciascuno”. Ecco che cosa il Cottolengo ci chiede: un amore fraterno che diventa unione di cuori e condivisione di ciò che abbiamo e di ciò che siamo: mettiamo a disposizione degli altri i nostri beni, ma anche e soprattutto i nostri talenti di grazia e di natura. Allora nessuno sarà bisognoso nella Piccola Casa, perché tutto quello che siamo viene condiviso.
Dopo aver realizzato questo ideale della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, siamo quindi proiettati alla carità verso i più poveri e bisognosi: Il Cottolengo vuole che in essi vediamo Gesù, non una sua immagine, ma la sua vera persona.
Ecco quindi che la nostra carità diventa contemplazione del Cristo sofferente nell’oggi; ecco che nella carità noi abbiamo la possibilità reale di mettere in pratica il precetto paolino di “pregare sempre, senza interruzione”. Noi “ci riempiamo” di Gesù nelle ore di preghiera e soprattutto nell’Eucaristia, e poi cerchiamo Gesù sotto le sembianze dei malati, dei poveri e dei bisognosi. La nostra carità può diventare “un autentico atto di culto”, perché “abbiamo Gesù tutto il giorno tra le mani”. Allora, in questo senso, non usciamo mai di chiesa; infatti “la Piccola Casa è come una grande cattedrale in cui ci sono tanti altari, quanti sono i letti dei nosti ammalati”. La carità verso il povero diventa l’elemento unificante della nostra vita, e per essa dobbiamo essere disponibili a “sacrificare la salute, ed anche la vita”. Questo è infatti il metro della carità cottolenghina, il metro che il Santo ha vissuto per primo sulla propria pelle: “amare e servire i poveri anche con il sacrificio della vita”.
E da ultimo ricordiamo a noi stessi il punto della generosità. Se il nostro compito è servire Gesù, non possiamo essere pigri; non possiamo farci chiamare due volte, ma dobbiamo “volare come sulle ali della carità”. Spesso i malati saranno scontrosi, o non sapranno apprezzare i nostri servizi; questo però non ci deve scoraggiare. Dobbiamo fare tutto “in Domino”, sapendo che “un pezzo di Paradiso ci ricompenserà di ogni cosa”.
In tutti questi aspetti riconosciamo ed ammiriamo l’esempio del Venerabile Fr Luigi Bordino, che è per noi un faro illuminante, ed un modello attraente da seguire: di lui soprattutto ammiriamo l’ardore della preghiera ed il servizio incondizionato ai poveri ammalati, handicappati o senza fissa dimora. In lui contempliamo il coraggio del servo fedele, che, dopo aver fatto tutto quanto era in suo potere, ha saputo dire di sì al suo Signore anche quando la nuova chiamata lo ha portato sulla croce.
Ecco in semplicità le nostre riflessioni sulla spiritualita’ del nostro Santo... Ne celebreremo la solennita’ domani, anche se - lo sappiamo - la festa a Chaaria sara’ sicuramente costellata da emergenze e corse varie, per non dire mai di no a nessuno di coloro che bussano alla nostra porta.

Fr Beppe Gaido,
a nome dei Confratelli della comunità di Chaaria

Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....