domenica 16 maggio 2010

14 Giugno 2010: la mattina della partenza

Normalmente la notte precedente un rientro in Italia e’ molto difficile prendere sonno. Stanotte poi ha ha veramente diluviato, ed ancora continua a piovere a catinelle.
Questo crea sia nei due amici di Emergency che in me una sorta di nervosismo: siamo preoccupati delle condizioni della strada, ed anche se ci consola il fatto di viaggiare nella potente Land Rover donataci dagli amici sardi, rimane il fatto che basta un matatu od un camion ‘impantanato’ davanti alla nostra auto, per rendere il viaggio impossibile.
Pensiamo di partire verso mezzogiorno.
Cio’ dovrebbe darci la possibilita’ di un viaggio tranquillo: nei nostri piani dovremmo essere a Nairobi per le ore 18, accompagnare in albergo Eleonora e Stefano, passare a salutare le suore ed i sacerdoti a Langata... e poi, dopo cena, con tranquillita’ raggiungere l’aeroporto in tempo per accogliere la nuova volontaria e per il mio ‘check in’.
Il nervosismo in me comincia ad ingigantirsi quando verso le 10 non vedo Ogembo in ospedale: era in ferie, ma avrebbe dovuto riprendere il servizio stamattina.
Naturalmente le complicazioni si accavallano sempre quando ci sono piani alternativi: abbiamo gia’ due cesarei in attesa... ed entriamo in sala nella speranza che ritorni Ogembo.
Ma il tempo passa e di lui nessuna traccia. Provo a chiamarlo, ma il suo telefonino e’ spento... Intanto l’orologio ormai segna le 11.30.
Come se non bastasse, ci portano un uomo “affettato” in varie parti del corpo dal crudele machete di un gruppo di ladri che lo hanno assalito la notte scorsa. L’uomo sanguina abbondantemente e bisogna agire. Sono chiaramente preoccupato per il mio volo, ma entro in sala ugualmente.
Il lavoro di sutura termina dopo le 12.30, ma, quando esco dalla sala madido di sudore, mi trovo davanti un Ogembo sorridente e su di morale:
“Il matatu con cui stavo tornando stamattina si e’ impantanato nel fango in un posto dove non c’era campo, e non ho potuto avvisare... ma adesso vai tranquillo”.
Non c’e’ tempo ne’ per il pranzo ne’ per una doccia. Mi cambio rapidamente; saluto Fr Lodovico, gli altri confratelli ed i volontari... e quindi monto nella Land Rover, che sta scaldando i motori da tempo.
“Se  il matatu di Ogembo si e’ ‘piantato’, nessuno ci assicura che non ne troveremo altri nella stessa situazione... e se capita questo, magari impedendoci di raggiungere l’asfalto per alcune ore, il volo di stasera me lo sogno davvero”.
Uscendo dal cancello dell’ospedale mi rendo conto del caos che gia’ il dr Ogembo dovra’ affrontare: la nostra ambulanza e’ pronta a trasferire a Meru un paziente con una probabile appendicite ormai complicatasi con peritonite; poco piu’ sotto vedo l’auto di Mukothima che sta scaricando una donna con travaglio complicato e con previsione di cesareo urgente.
“Devo chiudere gli occhi e partire, lasciando che la Provvidenza aiuti Ogembo a far fronte a tutto. Sara’ da solo per qualche giorno solamente, perche’ arriveranno prima il dott Pierantonio, ed un po’ piu’ in la’ il dott Pietro... ma so che per lui sara’ molto dura. Sara’ faticoso anche per Jesse e Makena, i quali dovranno essere reperibili tutte le notti insieme ad Ogembo. Sara’ stressante anche per fr Lorenzo e per fr Giancarlo, i quali si alterneranno di notte con il compito di prelevare il dottore e la strumentista a casa loro, in caso di operazione urgente. Io preghero’ per tutti”.
Partiamo sulla nostra strada sterrata, resa terribile dalla abbondante precipitazione notturna.
Per qualche chilometro sembra che stia andado tutto bene, anche se Lorenzo fa le acrobazie con la sua ‘nuova’ macchina.
Pero’ quando mancano ormai pochi chilometri all’asfalto, ecco che avviene quello che tutti temevamo: un camion impantanato per traverso, seguito da una fila di almeno cinque matatu.
“Non c’e’ tempo per aspettare”, dice con convinzione Fr Lorenzo, mentre gia’ sta facendo una rischiosa inversione ad U, per tornare indietro ed avventurarsi sulla strada di Mbeu.
Se il percorso intrapreso precedentemente era difficile, questa alternativa e’ davero un ‘safari rally’. Lorenzo si dimostra ottimo pilota come sempre, e la ‘Defender’ non ci delude.
Pian piano, con un viaggio simile alle montagne russe, giungiamo all’asfalto... e la speranza di riuscire a partire riappare nel mio cuore.
Ma i problemi non sono finiti. Alla periferia di Nairobi ci arriviamo abbastanza celermente, e, verso le ore 18, siamo gia’ alla Museum Road.
Piove a dirotto e la strada e’ parzialmente allagata. I tamponamenti si susseguono a catena.
Non so se la ragione sia la pioggia battente od il traffico caotico di Nairobi. Quello che so e’ che l’ingorgo che si e’ venuto a creare ha dimensioni bibliche.
Ci abbiamo impiegato tre ore e mezza a coprire i pochi chilometri che ci separavano dall’aeroporo. Sebbene dal tabellone sapessimo che il suo aereo era atterrato in orario, fortunatamente la volontaria non era ancora uscita, quando finalmente il nostro viaggio-incubo si e’ concluso al terminal dell’aeroporto.
Sono stato accompagnato al check in da Fr Lorenzo e Fr Joel. Ero un po’ in ritardo, ma ancora in tempo.
Anche Eleonora e Stefano alla fine raggiugono il loro agognato hotel.
Con non poche ansie e preoccupazioni, sono quindi riuscito a partire e a “sistemare” gli amici di Emergency per la notte.

Fr Beppe



PS: sms da Chaaria alle ore 16 di domenica 16 maggio....
IERI CINQUE CESAREI, ED OGGI GIA’ QUATTRO... E LA GIORNATA NON E’ ANCORA FINITA.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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