venerdì 25 giugno 2010

Dal nostro corrispondente a Chaaria, Pietro Rolandi

Caro Beppe,
doveva essere una giornata tranquilla perchè due dei pazienti programmati in sala per oggi non si sono presentati.
Ma stamane, quando scendo in ospedale, trovo fermento per quello che risulterà essere il primo cesareo della giornata. Sarà la luna piena, ma ci sono gravide a termine dappertutto, con il pancione, la smorfia di sofferenza, il camicione blu più o meno bagnato dalle "acque".
Faccio allora una gastroscopia (cancro dell'esofago) e mi dedico alla solita fila di esterni, tra i quali trovo i due che avrebbero dovuto presentarsi ieri, ma che forse riusciremo comunque a fare domani perchè un'amputazione di gamba programmata non si è presentata (verrà domani? mai?).
Fra un aborto settico, una metrorragia, un po' di parti naturali arriva il secondo cesareo urgente per cui il primo intervento programmato (colposospensione+isterectomia+ernia crurale incarcerata+imprevista appendicectomia d'opportunità) va in pista verso le 13,30. Alle 15, quando penso di poter andare a pranzo, arriva un poveretto caduto da un albero, con la testa rotta, in coma profondo.
Posso solo suturarlo, broncoaspirarlo e metterlo in un letto (la neurochirurgia è a 5 ore di geep salvo complicazioni, ma penso non si sarebbe salvato neppure con l'elisoccorso). Alle 16,30 dopo aver mangiato un boccone controvoglia ed essermi steso un po' a letto, torno giu' sperando di fare in sala operatoria e con calma un'amputazione di dito medio..e cosa trovo? L'agitazione per il terzo cesareo. Finisco allora di vedere gli esterni, faccio un paio di interventini dove capita (possibilmente nel tuo studio), incido una enorme cisti del Bartolino suppurata che speravo di fare con assistenza anestesiologica, eseguo una biopsia prostatica (ho trovato i tru cut nel tuo armadio). 
Rinuncio all'idea della sala operatoria e decido per l'amputazione in sala travaglio appena una delle due ragazze che strumentano, lavano i ferri, sbarellano, riportano la paziente a letto ecc. possa darmi una mano. Finalmente comincio, separato mediante una tenda da una donna che ha appena subito un raschiamento e che è sull'altro lettino. Ad un certo punto, richiamata da un urlo proveniente dalla sala, la mia assistente "parte" e torna con il prodotto del cesareo che affida poi alla nurse accorsa allo stesso richiamo. Sento gli schiaffi, guardo il bambino appeso per i piedi, immobile... poi un pianto, prima flebile e poi sempre più vigoroso...anche stavolta è andata! Ho finito; sono le 19,30; è buio; faccio per avviarmi verso il mio alloggio e sento degli ululati provenire dalla sala d'attesa. Vado a vedere e trovo una vecchietta (probabilmente più giovane di me) con una frattura scomposta di femore.
Improvviso un "doccia" con un robusto cartone e l'accompagno a letto con la barella. Domani andrà a Meru......ma non potremmo attrezzarci per fare un po' di ortopedia? (Scherzavo!).
Sono le 22,30, vado giù a dare un'occhiata ai pazienti, e vedo che sulla lavagnetta degli interventi una mano malandrina ha aggiunto un raschiamento per mola vescicolare....non ce la faremo mai!
Con tanto affetto e infinita stima per quello che sei riuscito a creare...

Pietro

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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