martedì 22 giugno 2010

Il dramma del diabete

Il questo breve post, mentre ringrazio gli amici di Roma per l’interesse dimostrato per i nostri pazienti diabetici, un interesse che poi si concretizzera’ in aiuti concreti, desidero spendere nuovamente due parole sulla malattia stessa. Non ne parlero’ dal punto di vista scientifico, in quanto il nostro non e’ un blog per soli medici. Inoltre non credo che i miei colleghi abbiano bisogno di alcuna lezione in merito da parte mia.
Scrivero’ invece di aspetti economici e sociali legati a questa malattia invalidante.
Inizierei con una domanda che molti mi fanno: come mai c’e’ tanto diabete in Africa? Noi pensavamo che il diabete fosse una malattia delle societa’ opulente dove si mangiano troppi zuccheri e troppi grassi!
Non credo di conoscere una risposta esauriente sul perche’, ma quello che so e’ che in Africa prevale il diabete giovanile. Questo sembra legato a carenze alimentari o addirittura malnutrizione nei primissimi anni di vita. I deficit alimentari poco alla volta causerebbero delle infiammazioni croniche del pancreas che gradualmente, durante i processi di guarigione, sarebbe sostituito da tessuto calcifico. Tali calcificazioni diffuse, conosciute sui libri di Medicina come pancreatite cronica calcifica dei Tropici, lentamente ma inesorabilmente sostituiscono il tessuto secernente insulina con cicatrici inerti e prive di attivita’ biologica.
Quei giovani che svilupperanno il diabete mellito (conosciuto come “insulino dipendente o tipo 1”) rimangono ignari della loro condizione per molti anni, e giungeranno all’osservazione del medico solo quando ormai purtrppo si saranno instaurate delle complicazioni molto severe e sovente irreversibili.
Le complicazioni piu’ frequentemente rilevate nel contesto di Chaaria sono: cecita’ o grave compromssione del visus; piede diabetico con la formazione di ulcere croniche purulente che si approfondiranno gradualmente fino alla osteomielite (o infezione dell’osso): tale situazione porta spesso alla necessita’ di amputare l’arto inferiore.
Molti sono i malati che arrivano in ospedale in coma diabetico: normalmente vi giungono in ritardo, in quanto per giorni e giorni magari qualche dispensario periferico privo di possibilita’ diagnostiche li ha inutilmente curati con chinino in vena, sovente infuso in una glucosata al 10%.
Ci sono poi pazieni che complicano con ipertensioni gravissime e refrattarie, e con insufficienza renale.
Fatta questa introduzione possiamo comprendere che la terapia, anche nei casi non molto gravi, sara’ soprattutto basata sulla insulina. Naturalmente ci sono anche malati con diabete non insulino dipendente o di “tipo 2”, ma essi sono una minoranza. Anche per gli antidiabetici orali siamo molto limitati nella scelta, ma almeno il prezzo delle medicine e’ molto piu’ accessibile.
La terapia insulinica e’ un dramma sotto tutti i punti di vista: noi troviamo solo due tipi di insulina: una miscela che si chiama MIXTARD, e che e’ costituita dal 30% di pronta ed il 70% di semilenta; e l’ACTRAPID, ad azione rapida.
Normalmente usiamo l’insulina pronta soltanto in ospedale per una azione veloce sul paziente in condizioni critiche. A domicilio dobbiamo predisporre per il malato un regime basato su due quotidiane somministrazioni sottocute di Mixtard (una immediatamente prima di colazione e l’altra prima di cena). Questo a volte non copre adeguatamente il fabbisogno insulinico delle 24 ore, con il rischio di iperglicemie post prandiali ed ipoglicemie notturne.
E’ praticamente impossibile pensare ad un regime con tre iniezioni al giorno.
Il paziente se ne dimenticherebbe molte volte e vanificherebbe il piano terapeutico. Oppure smetterebbe la terapia per problemi finanziari.
L’insulina e’ infatti un farmaco costoso.
Il prezzo di una fiala di insulina e’ di circa 8 euro, una cifra che per molti costituisce lo stipendio di 7-8 giorni di lavoro.
A questo si deve aggiungere il costo delle siringhe. Normalmente insegnamo ai pazienti a ribollire le siringhe e ad usarle varie volte finche’ lo stantuffo si blocca o le tacche con le unita’ non sono piu’ leggibili. Normalmente programmiamo che useranno piu’ o meno cinque siringhe al mese. Quando poi si sono instaurate complicazioni di tipo ipertensivo, renale o cardiologico, i costi delle medicine si fanno del tutto proibitivi.
Praticamente nessuno tra i miei pazienti riesce a comprarsi una macchinetta per la determinazione della glicemia a domicilio, per cui diamo loro degli appuntamenti, ed i livelli glicemici li testiamo solo in ospedale.
E che dire del problema della catena del freddo?
Quasi nessuno ha un frigorifero, e quindi a loro proponiamo di tenere la fiala in una pentola piena di acqua fredda, pentola che poi verra’ interrata in una parte non troppo soleggiata della casa, e quindi richiusa con un coperchio. L’igiene della membrana che il malato perforera’ con l’ago ad ogni prelievo di insulina e’ quindi assolutamente teorico... ma cosa farci?
Ecco, questa e’ la situazione. Una situazione di cui in parte avevo gia’ parlato quando ho presentato sul blog il caso di Josphine. Grazie quindi agli amici di Roma che stanno pensando ad un fondo da dedicare alla cura dei pazienti diabetici piu’ poveri.

Fr Beppe  

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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