Carissimo Beppe,
Stanno ancora proseguendo le mie
riflessioni sull'esperienza e la mia percezione di Chaaria (parlo
dell'ospedale) è che sia un'isola di pace.... sì hai letto bene, ho scritto
isola di pace anche se può sembrare strano in una realtà in cui la sofferenza e
il dolore impazzano.
Mi è piaciuto moltissimo lavorare in
reparto e confrontarmi con i malati e con il personale; ho percepito come piano
piano, per lo staff, da invisibile presenza , sono passata dapprima a
presenza che si guardava con curiosità e un pò di diffidenza poi accolta e
considerata come parte del loro mondo. Mi è piaciuto come si rivolgessero a me
come se fossi una di loro. Poi mi hanno aiutato in diverse circostanze: per
esempio i clinical officer ai quali più volte ho chiesto lumi sulle terapie (da
come andavano scritte, agli antibiotici più opportuni da usare per le vostre
infezioni); vedevo che mi scrutavano per capire se davvero un dottore
chiedeva loro come fare.... questo atteggiamento di umiltà e di riconoscere i
propri limiti credo abbia portato il rapporto su un piano paritario,
soprattutto come essere umani, che era quello che andavo cercando come si cerca
l'acqua quando hai sete.
Anche gli infermieri ai quali chiedevo
aiuto per le medicazioni e il giro pazienti, piano piano hanno cominciato a cercarmi
e comunicarmi le cose che avevano notato e che secondo loro erano meritevoli di
attenzione medica, trattandomi davvero come una dello staff. Tutto questo mi ha
davvero gratificato perchè mi ha fatto capire che sono capace di confrontarmi
anche con persone molto diverse da me per esperienza, cultura ed abitudini, e
anche di prendere e dare loro: tante volte è capitato anche di scambiarci
modi di fare, e ho visto un guizzo di interesse nei loro occhi e anche ciò mi
ha reso felice ..... se solo penso alla fatica fatta l'anno scorso per i
drenaggi di penrose che venivano guardati con un tale diffidenza.....
Mi ha molto colpito anche il fatto che
quando è capitato di verificare che qualcuno non stava facendo la terapia
secondo il plan e garbatamente glielo ho fatto notare, mai ho percepito un
fastidio o un disagio per aver in qualche modo evidenziato una mancanza, credo
che questo sia stato davvero legato al fatto che "magicamente" in
quell'isola di pace, il giudizio è venuto meno e passava, da vita a vita,
la semplice volontà e condivisione di uno scopo unico che era il bene dei
malati..... magari si potesse trasportare anche da noi questo spirito. Comunque
non demordo, devo riuscire ad essere la stessa a Chaaria e qui.....
L'altro aspetto che mi ha colpito
moltissimo è la solidarietà tra i malati, pochi di loro parlavano inglese e
comunque in ogni modo cercavano di attirare l'attenzione del medico se qualcuno
stava male o aveva qualche difficoltà.... anche laggiù, come da noi, la fine di
una flebo sembra una cosa gravissima se non viene subito staccata..... e loro
si sbracciavano per attirare l'attenzione su una flebo finita o su qualcuno che
stava male, per non parlare dei pochi che erano in grado di comunicare in
inglese e che ben volentieri si prestavano a tradurre per gli altri. Si
aiutavano per mangiare gli uni con gli altri e con grande semplicità
accettavano di essere aiutati anche da te; ho notato che le tante volte che mi
sono portata i malati per le eco, che spesso erano pazienti che non
camminavano bene sulle loro gambe, dopo un iniziale momento di stupore,
accettavano l'aiuto con grande semplicità e naturalezza.
Per non parlare delle visite agli
outpatient dove almeno un paio di volte ho usufruito dei suggerimenti delle
ragazze di sala perchè io poche volte mi ricordavo di essere in Africa e che
molti sintomi potevano essere correlati alla malaria: arrivavo a capire che non
erano faccende chirurgiche, però di fatto avevo davanti a me qualcuno che
certamente bene non stava e sono stata molto contenta che loro si siano sentite
libere di suggerirmi di testare la malaria. Questo evidentemente significa che sono
riuscita ad abbattere le barriere del medico al di sopra degli altri....
naturalmente avevano ragione.... spero di aver imparato.
Mi sono davvero dimenticata di essere un
medico nel senso di avere dei ruoli precisi e stabiliti dalle convenzioni, e ho
fatto sempre tutto quello che c'era da fare anche se non rientrava strettamente
tra le mie competenze istituzionali perchè l'unico scopo era fare quello che
serviva per aiutare i malati, qualunque cosa fosse: dallo sbarellare, al
portare il malato in eco, all'andare a cercarti i teli per le eco e anche piegare
garze se serviva... il tutto con una leggerezza e naturalezza che mi sarebbe
piaciuto racchiudere in un' ampolla e liberare nei momenti opportuni anche qui.
Giacomina
Adorni
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