martedì 21 maggio 2013

Njeru e Marco

Ieri Sr Joan, Lisa e Marco hanno riaccompagnato il nostro Njeru a Naromoru per gli ultimi tre mesi di riabilitazione dopo le due operazioni ortopediche subite.
Njeru era stato "a casa" qui a Chaaria per alcune settimane di vacanza, ed ora dovra' lavorare sodo per poter camminare. Era stato rimandato a Chaaria perche' aveva il gesso, e la fisioterapia era momentaneamente sospesa.
Oggi gli e' stato rimosso il gesso, ed e' stata ripresa la fisio.
Ad agosto il team chirurgico italiano che gia' ha operato Njeru per due volte sara' nuovamente in Kenya e valutera' se i miglioramenti ottenuti dalla chirurgia sono soddisfacenti o se sara' necessaria una terza operazione.
Njeru non ha piu' voglia di stare lontano ed e' stato difficile convincerlo a rimanere in quel centro di riabilitazione che, seppur molto bello, per lui non e' affatto "casa". Saranno mesi duri per lui che' e' lontano da Chaaria da quasi un anno. Speriamo comunque che il risultato ripaghi tanti sforzi e tanta sofferenza.





Oggi invece e' stato il compleanno del nostro volontario Marco, a cui i ragazzi del centro hanno preparato una breve ed intensa festicciola al mattino alle 10.30: un dolce, una bibita e niente di particolare.
Sappiamo comunque che Marco ha colto l'affetto di tutti gli altri volontari, dei Fratelli, delle Suore, degli operatori e dei ragazzi del centro che hanno voluto esprimere anche cosi' la loro riconoscenza.
Ed anche chi come me non ha potuto esserci perche' bloccato in sala operatoria, e' stato pero' a lui molto vicino con l'amicizia e con la preghiera.
Buon compleanno, caro Marco e che Dio ti ricompensi per quello che fai per noi e per i Buoni Figli.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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