mercoledì 24 luglio 2013

Lettera di Marialuisa


Carissimo Beppe, amico e fratello,

è con tanta tristezza che leggo la tua lettera della settimana scorsa sul blog.
Non so bene che cosa sia successo, nè mi interessa sapere più di quanto si intuisca.
Scrivo non solo a nome mio, ma anche di tanti volontari che hanno avuto la fortuna di conoscerti e lavorare con te.
Vogliamo, tutti insieme, che tu sappia quanto noi ti ammiriamo, ci fidiamo di te, crediamo in te.
Troppe volte ti ho trovato esausto al mattino,  nel tuo piccolissimo ufficio dopo l'ennesima notte sveglio.
Ti rivedo davanti, sempre di fretta, fare una cosa e progettarne tre, dando nel frattempo ascolto a tutti, aiuto a noi volontari imbranati, parlando in italiano, inglese, kimeru, kiswahili...
La controvisita serale, dove ancora cerchi di vedere tutti i pazienti di quelle infinite camerate, una glicemia qua, un insulina da dosare là....



Ti vedo la domenica alla Messa (urgenze permettendo), e poi portare la Comunione in corsia, ai Buoni Figli che non riescono a venire...
Noi vediamo con assoluta certezza la trasparenza, la pulizia e l' onestá che c'è in te, la tua voglia di servire i piû umili, gli ultimi tra gli ultimi, dando tutto te stesso.
Non solo cambi la loro vita. Hai cambiato anche profondamente la nostra.
Dunque tieni alta la testa. 
Le calunnie, soprattutto infami ed anonime, sono una delle tante umiliazioni che agli uomini tocca subire. Ma tu hai la coscienza pura, ed uno stuolo di persone che in te crede, e nelle calunnie no.
Stringi i denti.  Sei lí per servire i poveri. Sei una persona straordinaria ed umana. 
Noi, e siamo tanti, ti vogliamo bene e ti ringraziamo per l' esempio che ci dai.



Marialuisa Ferrando


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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