“Ho un bambino scioccato
a cui non riesco a prendere una vena perchè i vasi sono tutti collassati”
“Chiamiamo Jesse che è
sicuramente il più bravo”
Mentre lui continua ad
armeggiare i suoi aghi cannula nella disperata ricerca di un accesso, io provo
a rendermi conto delle condizioni generali del bimbo appena giunto in ospedale.
Ha vomito e diarrea da un
paio di giorni e presenta segni di importante disidratazione: i suoi occhi sono
infossati ed il turgore della sua cute molto ridotto. La diarrea è acquosa e
non c’è sangue nelle feci. Invece la febbre è altissima ed il piccolo è sovente
scosso da convulsioni febbrili.
Ancor prima di avere un
accesso venoso, somministriamo una supposta di paracetamolo al paziente per
abbassargli la temperatura e controllare gli attacchi comiziali.
Intanto il team del
laboratorio ci informa che il bimbo è ipoglicemico ed ha un test positivo per
la malaria.
L’auscultazione del torace
è paurosa: sembra che si tratti di edema polmonare. E’ una complicazione
frequente nella malaria complicata: i polmoni si riempiono d’acqua ed il
bambino non riesce a respirare.
Intanto Jesse ce la fa ed
abbiamo quindi a disposizione l’accesso giugulare: provvediamo a instaurare ossigenoterapia
e cerchiamo di “scaricare” quei polmoni con del diuretico per via endovenosa.
Infondiamo glucosio e mettiamo il chinino in vena, insieme ad un antibiotico ad
ampio spettro che copra sia i patogeni polmonari che quelli intestinali.
La mamma è contenta di
tutto il nostro affannarci e pare del tutto abbandonata e fiduciosa nei nostri
confronti: forse pensa che sappiamo fare anche i miracoli.
Purtroppo però le cose
prendono una piega differente: il respiro stertoroso diventa un “gasping”
sempre più rallentato, la febbre non scende ma va oltre i 40°C.
Proviamo allora con
l’adrenalina ed il cortisone, ma il nostro piccola paziente va in Paradiso in
pochissimi minuti, lasciandoci come tramortiti.
La mamma, prima fiduciosa
ed abbandonata, diventa ora rabbiosa e disperata: urla come una forsennata ed è
difficilissimo calmarla. Le sue grida angosciate riempiono l’ospedale per molte
ore e non c’è modo di convincerla ad aspettare domattina: lei in questo
ospedale non ci vuol più stare per nessun motivo.
Fortunatamente alcuni
parenti arrivano poco prima della notte ed insieme a noi prendono la decisione
di portarsi a casa quella mamma disperata che oggi ha perso il suo figlio
prediletto.
Vedere un bambino che ti
scivola via dalle mani è una tremenda sensazione di fallimento che mi devasta e
mi deprime oggi come il primo giorno che ero a Chaaria. Alla morte dei bambini
non ci si può e non ci si deve abituare. Le grida disperate di una madre poi
sono per me come delle coltellate al cuore, che mi feriscono oggi come
all’inizio della mia carriera di medico.
Un altro bimbo se n’è
andato, un’altra volta siamo stati sconfitti, un’altra volta non siamo riusciti
a ridare alla madre il figlio che lei aveva affidato alle nostre cure.
E’ davvero brutto quello
che si prova in momenti come quelli vissuti oggi.
Mi fermo un attimo in
cappella prima di spegnere il generatore che romba da stamattina presto, ed
offro al Signore questo nuovo angioletto, mentre imploro la pace del cuore per
quella donna che stasera se n’è andata in preda ad una cupa disperazione.
Fr Beppe Gaido
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