giovedì 22 ottobre 2015

E' andata a finire così

Durante lo sciopero della sanità nel Meru, abbiamo accolto tutti i pazienti con patologie ortopediche che giacevano nell'ospedale pubblico senza possibilità di cure.
Erano chiaramente i malati meno abbienti, che non avevano potuto permettersi altri ospedali privati più costosi per avere l'intervento di cui necessitavano.
Ce li avevano portati a frotte, e noi, con dedizione e fatica, li abbiamo operati tutti. Sono stati interventi spesso complicati, perchè si trattava di fratture complesse ed inveterate (a volte fino a cinque mesi).
Tutti erano contenti nel post-operatorio, mentre vedevano i grandi progressi che facevano. I problemi sono iniziati invece quando si trattava di dimetterli: abbiamo cercato di chiedere loro di partecipare alle spese sostenute per l'operazione, con somme di denaro altamente simboliche, ma comunque importanti per il sostentamento dell'ospedale.
Qualcuno (la minoranza!) ha risposto positivamente, ci ha dato quel piccolo obolo che onestamente nemmeno poteva pagare la spesa delle placche e delle viti che avevamo usato in sala, ed è andato a casa contento e soddisfatto dal nostro servizio.


Per molti altri invece è stata una grande delusione: naturalmente piangevano e volevano essere operati al più presto, quando erano stati "scaricati" a Chaaria... poi però, al momento della dimissione, hanno fatto di tutto per non andare a casa: qualcuno è rimasto in reparto per quasi un mese, mangiando e bevendo a spese dell'ospedale, e sempre asserendo che i parenti sarebbero venuti a prenderlo l'indomani...un domani che non arrivava mai!
Questo gioco di nervi è in genere continuato a lungo, fino a quando, per esasperazione e per bisogno di letti, li abbiamo dimessi, senza che contribuissero uno scellino alle magre finanze dell'spedale, ed addirittura con i nostri vestiti e con un certo gruzzoletto di denaro che abbiamo dovuto dare loro per pagarsi i mezzi pubblici.
Inutile dire che gli interventi ortopedici sono generalmente molto costosi e che questo gran numero di operati che, disonestamente, non ha contribuito minimamente alle spese che abbiamo sostenuto per aiutarli, ha costituito un buco economico pesantissimo per l'ospedale.
E dire che già quello che chiediamo a Chaaria è un decimo di quello che chiedono gli altri ospedali!
Poi ieri sera è arrivato il gran finale...la ciliegina sulla torta: di quel grande gruppo dello sciopero, avevamo ancora due giovani qui in ospedale; non li avevamo mandati a casa da soli perchè minorenni e perchè non eravamo riusciti in alcun modo a contattare la famiglia.
Erano le 20.45 quando il nostro infermiere Peter (di riposo dopo il turno di notte) mi ha chiamato al telefono per dirmi che questi ultimi due pazienti erano stati ritrovati a Chaaria Market, mentre fuggivano dall'ospedale con ancora indosso la divisa dei ricoverati.
Peter li aveva bloccati, e di questo gli sono davvero grato, perchè quei due sono minorenni, e se mai fosse loro successo qualcosa, poi nelle grane ci saremmo andati noi, che ce li siamo lasciati scappare dall'ospedale.
Fr Giancarlo è stato disponibile come al solito ed è andato a recuperarli in ambulanza. Abbiamo però deciso che sarebbe stato rischioso riportarli in reparto, perchè avrebbero ritentato la fuga.
D'altra parte erano operati e dimessi da quasi un mese, per cui stavano bene e non avevano bisogno di ospedalizzazione.
Li abbiamo quindi lasciati in custodia alla polizia, che oggi ha trovato il domicilio di entrambi e li ha portati a casa: naturalmente anche per questi due non abbiamo raccolto uno scellino.
E così si chiude la nostra avventura con i pazienti ortopedici dello sciopero: che delusione provo dentro, anche se nessuno mi può togliere la gioia per quello che abbiamo fatto per loro con i nostri interventi.
Però è dura, e, se lavorassimo solo per la riconoscenza umana, questa sarebbe un'altra occasione per cadere nella depressione più cupa.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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