domenica 15 ottobre 2017

Josphine Kawira

La sua storia e' probabilmente conosciuta da chi ci segue da molto tempo.

E' contenuta nel blog, mi pare al 31 dicembre 2007.
L'avevo chiamata: "Kawira, la sopravvissuta".
Era arrivata da noi la sera prima con terribili ferite da panga che un datore di lavoro psichiatrico le aveva inferto, quasi decapitandola.
Aveva forse 12 anni ma ne dimostrava 7...piccola, gracile e denutrita.
Non era mai andata a scuola, perche' il padre, poverissimo e vedovo, aveva bisogno che lei lavorasse come serva sotto padrone per guadagnare qualcosa alla famiglia.
Tutti lo sapevano che quel datore di lavoro era psichiatrico, ma loro avevano bisogno di quei pochi soldi. L'uomo si era tolto la vita poco dopo aver realizzato lo scempio fatto a quella bimba inerme in un raptus di follia.
L'avevamo suturata per ore ed ore, e poi tenuta a lungo in ospedale.
Doveva riprendersi non solo dalle ferite del corpo, ma anche da quelle dell'anima.
Mentre era ricoverata poi suo papa' e' morto di cause sconosciute.
Kawira la sopravvissuta era ora anche orfana.



Non avendo piu' i genitori, le avevamo trovato una casa a Chaaria presso una famiglia di buona volonta', ed in seguito, d'accordo con il parroco, le avevamo fatto iniziare la scuola elementare presso la parrocchia. Era molto piu' grande degli altri bambini, ma sembrava contenta di imparare. Avevamo scelto da subito la scuola convitto e la ragazza dormiva in dormitorio con le altre studenti. Qualche volta nelle vacanze le davamo la possibilita' di andare al suo villaggio a visitare le zie e due sorelle piu' grandi e gia' sposate.
Ci sembrava contenta e gli anni passavano.
I voti erano buoni e con fatica siamo arrivati alla quinta elementare.
Josphine diventava pero' sempre piu' irrequieta a scuola. Aveva circa 17 anni e stava in classe con bambini molto piu' piccoli di lei che la prendevano in giro. Certamente non poteva avere grandi discorsi con bambini tanto piu' giovani. Avava ovviamente superato la puberta'.
Un giorno, circa 4 anni fa, e' scomparsa da scuola inspiegabilmente.
L'abbiamo cercata tanto, sia noi che il parroco, ma si era resa introvabile.
Poi il tam tam dei villaggi ci ha permesso di venire a conoscenza del fatto che si era sposata con un ragazzo giovane come lei, un piccolo contadino di un villaggio non lontano da Chaaria.
Abbiamo tentato un contatto. Abbiamo cercato di far capire ad entrambi che la mancanza di educazione scolastica sarebbe stata un handicap gravissimo per Josphine. La volevamo riportare a scuola.
Ma non c'e' stato niente da fare. Il marito ci ha minacciati e mandati via in malo modo, dicendoci di non farci piu' vedere.
Abbiamo poi saputo che tre anni fa Josphine aveva avuto una bambina, ma non l'avevamo piu' vista. Non era piu' tornata a Chaaria, dove le avevamo salvato la vita e le avevamo dato una famiglia e la possibilita' di educazione scolastica.
Oggi pero', inaspetattamente, e' venuta a trovarmi. Ho visto sua figlia per la prima volta, ma non suo marito.
Le ho chiesto come tirano avanti, ma ho capito che era un argomento che non voleva toccare.
Le ho semplicemente detto che sono felice che lei voglia ora in qualche modo riprendere i contatti con me, perche' un passato come il nostro non si puo' dimenticare e non puo' non lasciare il segno.
Mi ha promesso che verra' ancora a trovarmi.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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